Si può conteggiare il profitto precedente all’introduzione dei reati fiscali nel decreto 231

Di Maria Francesca ARTUSI

L’art. 19 del DLgs. 231/2001 prevede che, nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Il legislatore ha previsto, così, una ipotesi di confisca obbligatoria avente a oggetto il prezzo o il profitto del reato, ma non anche il prodotto di esso, né i mezzi utilizzati per commetterlo. Il profitto del reato al quale fa riferimento tale art. 19 si identifica con il vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale rispetto al reato presupposto.

La stessa norma stabilisce inoltre che siano fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede e che, quando non è possibile eseguire la confisca diretta, la stessa può avere a oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. In altre parole, la confisca per equivalente è possibile, nel caso classico di ineseguibilità della confisca diretta, o perché i beni da apprendere non esistono, in quanto derivanti da un semplice risparmio, o perché non sono individuabili, in quanto confusi, o non più nella disponibilità dell’ente.

Anche la confisca per equivalente è da ritenersi obbligatoria, in quanto la locuzione “può” contenuta nel comma 2 dell’art. 19 non esprime l’intenzione di riconoscere ad essa natura facoltativa, ma la volontà di vincolare il dovere del giudice di procedervi alla previa verifica dell’impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell’effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di detto profitto (così Cass. SS.UU. n. 11170/2015).

Riprende tali principi la sentenza n. 20227, depositata ieri dalla Cassazione, in un caso in cui erano contestati a diverse società e ai loro amministratori una serie di delitti in materia tributaria, nonché il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di natura fiscale attraverso la pianificazione contabile dell’attività e la costituzione di società “cartiere” incaricate dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti e del ruolo di fittizie intestatarie dei contratti di lavoro nei cantieri.
Per tali ragioni veniva applicata a tale società, nella persona del curatore fallimentare, la sanzione amministrativa prevista dagli artt. 24-ter e 10 del DLgs. 231/2001.

Secondo la contestazione, la responsabilità dell’ente sarebbe scaturita dal fatto che il legale rappresentante aveva commesso il delitto di associazione per delinquere nell’interesse o comunque a vantaggio della società senza che fossero stati previamente adottati modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire delitti di natura associativa.
Era peraltro ordinata la confisca per equivalente a carico della spa avente ad oggetto beni mobili e immobili, somme dei titoli e qualsiasi altra utilità nella sua disponibilità fino alla concorrenza di circa 8 milioni di euro.