Sono tali solo quegli accordi che vincolano i soci nell’esercizio dei loro poteri e che sono funzionali a stabilizzare assetti proprietari o governance
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 13561/2024, ha stabilito che non può qualificarsi patto parasociale la scrittura privata con cui il socio uscente da una snc convenga con gli altri soci che la cessione della propria partecipazione (a favore di altro socio) è condizionata all’assunzione della garanzia circa il pagamento, pro quota, di un mutuo precedentemente contratto dalla società. Tale accordo, infatti, non ha nulla a che vedere né con l’esercizio di futuri diritti amministrativi all’interno della società, né con l’assetto (proprietario o della governance) dell’ente.
Nel caso di specie, in una snc tra Tizio, Caio e Sempronio, il primo (Tizio), contestualmente alla cessione della propria partecipazione a Caio, sottoscriveva un accordo, anche con Sempronio, in cui si impegnava a pagare pro quota le rate di un mutuo già contratto dalla società. La società – nel frattempo divenuta una sas – in esito al mancato pagamento da parte di Tizio della relativa quota agiva in giudizio e otteneva contro di lui un decreto ingiuntivo. Tale decreto ingiuntivo, tuttavia, veniva revocato dalla Corte d’Appello in ragione dei seguenti argomenti: la sottoscrizione dell’accordo non poteva riferirsi anche alla società perché nessun rilievo presenterebbe il volere della società in merito all’ingresso o all’uscita di un socio dalla compagine sociale; la scrittura privata in questione doveva considerarsi un patto parasociale tra i soci rispetto al quale la società restava estranea; era da escludere una ricostruzione del tutto in termini di accollo, perché non emergeva dal testo o da altre circostanze un intervento della società debitrice in un accordo, né che questo accordo fosse stato portato a conoscenza della società come tale.
Contro tale decisione la società ricorreva per Cassazione osservando che: la manifestazione del potere di rappresentanza delle società non richiede l’uso di formule sacramentali e può essere dedotta da circostanze concrete, sicché la mera omessa spendita del nome della società e l’omessa precisazione che i soci sottoscrittori erano anche amministratori della snc non dimostrava in maniera inequivocabile che non vi fosse la volontà di riferire le pattuizioni anche, se non soprattutto, alla società medesima; la scrittura privata in questione non si poteva considerare un legittimo patto parasociale, non essendo stato chiarito a quale ipotesi, tra quelle previste dall’art. 2341-bis c.c., ci si dovesse riferire; la fattispecie avrebbe dovuto, quindi, essere ricondotta nell’alveo di un contratto di accollo tra la società accollata e l’accollante (Tizio).
La Suprema Corte reputa sostanzialmente fondati questi rilievi.
Si osserva, innanzitutto, come effettivamente la spendita della qualità di legale rappresentante di una società, da parte del soggetto che in essa riveste una carica organica, non richieda formule particolari, ma sia liberamente ricavabile dalle modalità di manifestazione della volontà; rispetto a ciò, di conseguenza, non appare irrilevante il fatto che tutti i soci sottoscrittori fossero anche amministratori della snc.
Se è vero che la società non deve necessariamente intervenire nei negozi traslativi delle proprie partecipazioni posti in essere dai soci con i terzi, ciò non significa che tra le condizioni del negozio traslativo della quota i soci non possano inserire anche pattuizioni nell’interesse della società (non si spiegherebbero, altrimenti, peculiari clausole come quelle di gradimento).