Forse è necessario abbandonare l’idea di una netta perimetrazione della sua accezione

Di Tommaso NIGRO

La composizione negoziata trova il suo naturale completamento, quantomeno per le imprese sopra soglia, nell’art. 23 del DLgs. 14/2019 che, regolamentando i diversi esiti, prevede l’ingresso di nuovi strumenti “tipici”, id est i contratti e gli accordi di cui al comma 1 lettera a) e lettera c) dell’art. 23 del DLgs. 14/2019, che si contrappongono, qualora all’esito delle trattative non sia stata individuata una soluzione tra quelle di cui al comma 1, agli strumenti che l’imprenditore può richiedere, ovvero: il piano attestato di risanamento di cui all’art. 56 del DLgs. 14/2019; l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 5760 e 61 del DLgs. 14/2019 (quest’ultimo con la riduzione della percentuale al 60% se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto); la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 25-sexies del DLgs. 14/2019; potendo, in via residuale, sempre accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza.

La struttura che il legislatore ha inteso adottare è, a ben vedere, distonica posto che accomuna, nella declinazione degli exit da perseguire, sia i “nuovi” contratti e accordi declinati al primo comma, sia anche gli strumenti che erano già presenti nell’ordinamento e che godono di espressa autonomia, quand’anche questi possano “entrare in gioco” alternativamente e quando non siano stati raggiunti gli accordi di cui al comma 1 dell’art. 23 del DLgs. 14/2019 (con la difficoltà, tra l’altro, di comprendere se esista, o meno, una necessità di esplorare dapprima gli accordi “tipici” o se si possa, invece, già entrare in composizione negoziata con la richiesta dell’imprenditore di accedere agli strumenti del comma 2 dell’art. 23 del DLgs. 14/2019).

Volendo immaginare il perché della scelta, si potrebbe pensare a una espressa volontà del legislatore di incentivare sempre e comunque l’accesso alla composizione negoziata, secondo il convincimento per il quale le trattative con i creditori, condotte sotto l’egida dell’esperto, possano condurre, anche nelle ipotesi in cui esse non siano andate a buon fine, a una soluzione fondata sull’accordo con i creditori.

Questa articolazione crea, tuttavia, qualche difficoltà interpretativa dovendo interrogarsi su quali siano gli esiti davvero favorevoli del percorso. La questione non appare di pronta soluzione con la necessità di interpretare e, forse, di “sfumare” i contorni, abbandonando l’idea di una netta perimetrazione. Se si guarda, infatti, al contesto complessivo della norma viene da credere che sono da considerarsi “esiti favorevoli”, oltre, ovviamente, agli accordi e contratti “tipici” di cui al comma 1 dell’art. 23 del DLgs. 14/2019, tutti gli strumenti declinati al comma 2, fatta eccezione per la sola “domanda di concordato semplificato” (che per espressa previsione dell’art. 25-sexies del DLgs. 14/2019, può essere chiesta solo a conclusione del percorso); rientrando in essi anche gli strumenti di cui alla lettera d) che, operando un richiamo al Titolo III, comprenderebbero, paradossalmente, anche le soluzioni liquidatorie e la stessa liquidazione giudiziale.