Non è ipotizzabile una responsabilità penale sulla base della mera qualifica di primo cittadino rivestita

Di Maria Francesca ARTUSI

Non è ravvisabile la responsabilità penale per bancarotta in capo al sindaco di un Comune, relativamente al fallimento di una società “in house”. Se non vi è la prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale concorrente “estraneo” nel reato a condizione che sia dimostrato in concreto il contributo specifico dallo stesso fornito al legale rappresentante della società.

Così la Cassazione – nella sentenza n. 7723 depositata ieri – conferma l’assoluzione dal reato di bancarotta fraudolenta societaria derivante da operazioni dolose (art. 223 del RD 267/42, oggi confluito nell’art. 329 del DLgs. 14/2019) nei confronti del primo cittadino di un Comune in relazione ad una spa fallita, interamente controllata dall’ente locale.
Costui, infatti, nella sua veste di legale rappresentante del Comune socio, non era titolare di poteri impeditivi dell’evento dannoso e non è ipotizzabile una responsabilità penale sulla base della mera qualifica rivestita.

Nelle motivazioni viene ribadita la giurisprudenza prevalente in tema di concorso dell’extraneus nella bancarotta impropria, secondo cui si può parlare di contributo causalmente rilevante del terzo rispetto alla condotta tipica solo nel caso in cui sia risultato decisivo per l’assunzione della condotta da parte dell’intraneus. La condotta realizzata in concorso col fallito deve, cioè,  risultare efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente deve avere operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Cass. n. 27367/2011).

In proposito la giurisprudenza civile ha precisato che la posizione dell’ente pubblico è unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici. Né detta natura privatistica della società è incisa dall’eventualità del c.d. “controllo analogo”, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra Pubblica Amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass. n. 5346/2019).