Il reato richiede tre tipologie di dolo: generico, specifico e intenzionale
Nell’ambito della bancarotta societaria connessa a una condotta di false comunicazioni sociali è fondamentale provare il nesso di causalità tra il dissesto e le operazioni illecite sul bilancio.
L’art. 223 comma 2 n. 1 del RD 267/42 (oggi traslato nell’art. 329 del DLgs. 14/2019) prevede, infatti, che la pena si applichi alle persone che hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo uno dei reati societari previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c.
Si sofferma sul nesso di causalità la Corte di Cassazione nella sentenza n. 21639, depositata ieri.
Tale nesso non è ravvisabile unicamente in presenza di condotte che incidano direttamente sulla consistenza del patrimonio della fallita, ma anche nei casi in cui le illecite operazioni contabili abbiano l’immediato risultato di rendere indiscernibile l’esistenza di consistenti perdite nell’attività imprenditoriale (Cass. n. 28508/2013).
Nel caso di specie era contestato il fatto che la situazione di passività non emergeva grazie alle false comunicazioni, mentre, se correttamente contabilizzata, tale situazione avrebbe determinato l’emersione di un patrimonio netto negativo e la totale perdita di capitale sociale, dovendosi provvedere alla convocazione della assemblea ex art. 2482-ter c.c. per deliberare la ricostituzione del capitale sociale o lo scioglimento e la messa in liquidazione della società. Se fosse stato veritiero, il bilancio avrebbe offerto una rappresentazione esterna del patrimonio netto della società, determinando una crescente esposizione debitoria che portava al fallimento, mentre invece le false comunicazioni hanno creato l’apparenza di una impresa sana nei confronti dei terzi creditori, i quali, dunque, non hanno intrapreso quelle opportune iniziative che sarebbero seguite alla rilevazione di una situazione ben diversa e più grave rispetto a quella prospettata.