Esclusa la tassazione dei contratti verbali enunciati se gli effetti sono cessati

Di Anita MAURO

Risale al 2010 la prima pronuncia (Cass. n. 15585/2010) con cui la Corte di Cassazione ha applicato l’imposta di registro al 3% sul finanziamento soci menzionato nel verbale di delibera di ripianamento perdite e sua ricostituzione mediante rinuncia ai crediti da parte dei soci, applicando l’art. 22 del DPR 131/86, in tema di enunciazione degli atti.
Quel primo orientamento, pur criticato dalla dottrina (cfr. lo studio del Consiglio nazionale del Notariato n. 208-2010/T), ha trovato seguito in sentenze successive (ad esempio, Cass. 29 aprile 2021 n. 11276 e 12 dicembre 2019 n. 32516).
Con due sentenze pubblicate ieri, la n. 3839 e la n. 3841, questa tesi viene per la prima volta messa in discussione dalla stessa Suprema Corte.

Va premesso che la disciplina dell’enunciazione degli atti, ai fini dell’imposta di registro, è contenuta nell’art. 22 del DPR 131/86, che riguarda l’ipotesi in cui un atto “enunci” disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti. La norma, in particolare, sancisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta di registro si applica anche alle disposizioni enunciate. Inoltre – precisa la norma – se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la sanzione per l’omessa registrazione prevista dall’art. 69 del DPR 131/86.

La Cassazione, nelle citate sentenze, ricorda le tre condizioni necessarie per applicare l’imposta di registro all’atto enunciato:
– la concreta citazione, in un altro atto da registrare, di un atto non registrato;
– che i due atti siano realizzati dalle stesse parti;
– limitatamente ai contratti verbali, che gli effetti delle disposizioni enunciate non siano già cessati o non cessino in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione.

Declinando tali condizioni al caso del contratto verbale di finanziamento, enunciato nella delibera di aumento di capitale o di ripianamento perdite mediante rinuncia ai crediti da parte dei soci – rileva la Corte – è necessario che:
– “esista una compiuta enunciazione”;
– vi sia “identità di parti” tra il verbale assembleare e l’atto enunciato;
– sia verificata la “permanenza degli effetti dell’atto enunciato”.

Per quanto concerne la condizione dell’identità di parti, dopo aver ripercorso le perplessità della dottrina sull’impossibilità di individuare delle vere e proprie “parti contrattuali” nel verbale assembleare, i giudici di legittimità rilevano che la stessa Cassazione, in una recente ordinanza (Cass. n. 11118/2022) ha evidenziato la difficoltà di adattare al verbale assembleare la nozione di parti. Tuttavia, secondo la sentenza di ieri, per l’applicazione della norma sull’enunciazione, non è necessario fare riferimento alla nozione civilistica di “parti contrattuali”, perché la ratio dell’art. 22 del DPR 131/86 sembra richiedere piuttosto la sussistenza di una “interrelazione tra quelle intervenute nei due atti”.

In particolare, posto che il verbale assembleare è il resoconto di quanto accaduto in assemblea, ha proprio la funzione di documentare l’intervento dei soci all’operazione soggetta a tassazione. Pertanto, conclude la Corte, a integrare il requisito dell’identità di parti basta il fatto che il verbale assembleare abbia la funzione di constatare “la partecipazione dei soggetti intervenuti in assemblea, tra cui i soci e la società” che sono stati parti in senso tecnico del contratto di finanziamento enunciato.

Invece, secondo la Cassazione, ciò che manca, nel caso ci specie, è la terza condizione per l’enunciazione, quella della “permanenza degli effetti del contratto” enunciato, condizione che opera solo per i contratti verbali. Era pacifico, infatti, che il finanziamento soci fosse stato stipulato verbalmente e che non fosse tra quelli soggetti a registrazione in termine fisso.
Per la tassazione dei contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, l’art. 22 comma 2 del DPR 131/86 pone uno specifico limite, stabilendo che l’enunciazione di tali contratti “non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione”.

Secondo la Corte, nel caso di specie, il finanziamento ha cessato i suoi effetti proprio a seguito della rinuncia al credito di restituzione da parte dei soci, rinuncia di cui viene dato conto nel verbale assembleare.
Gli effetti del finanziamento sono dunque cessati con la definitiva imputazione capitale della somma a suo tempo versata dal socio alla società, operazione che ha mutato l’originaria causa del versamento della somma di denaro e che ha determinato l’estinzione dell’obbligo restitutorio della società nei confronti del socio “se non anteriormente, quantomeno contestualmente o in esecuzione dell’atto enunciante”.
Pertanto, nel caso di specie, non poteva essere applicata l’imposta di registro del 3% sul finanziamento verbale enunciato.