La GdF fornisce chiarimenti sull’idoneità dei modelli organizzativi e sulla responsabilità «231» derivante dalla commissione di un reato tributario

Di Maria Francesca ARTUSI

La Guardia di Finanza ha risposto – durante la videoconferenza di ieri – a due quesiti relativi alla responsabilità parapenale delle persone giuridiche ai sensi del DLgs. 231/2001.

Le questioni sollevate attengono, in particolare, alle verifiche della GdF sull’idoneità dei modelli organizzativi e alla responsabilità “231” derivante dalla commissione di un reato tributario.
I modelli organizzativi svolgono, all’interno dell’ente, il ruolo di veri e propri “sensori” dei rischi di reato, assolvendo contemporaneamente ad un’attività di monitoraggio e prevenzione. Il DLgs. 231/2001 prevede non solo che gli stessi siano adottati, ma che siano idonei, ossia adeguati alla specifica struttura e alla concreta attività dell’ente nei rapporti interni e nelle relazioni esterne, ed efficacemente attuati.

Sul piano investigativo, l’attività delle unità operative della GdF è, pertanto, rivolta alla verifica che il modello risponda all’esigenza di procedimentalizzare, previa mappatura delle aree di operatività esposte al rischio-reato, la formazione del personale e l’attuazione delle decisioni degli apicali, la gestione delle risorse finanziarie, la costituzione effettiva di un Organismo di vigilanza e un sistema di aggiornamento continuo del modello.
Funzionale a ciò è anche la predisposizione di un apparato sanzionatorio disciplinare interno e la creazione di un sistema di tutela da atti di ritorsione e discriminazione nei confronti dei whistleblower (la cui disciplina è in corso di aggiornamento, si veda “Nuovo decreto sul whistleblowing in dirittura d’arrivo” del 12 gennaio 2023).

D’altra parte, perché il modello possa dirsi efficacemente attuato, in aderenza al principio di separazione delle funzioni, la GdF precisa che l’ente dovrà essere in grado di documentare ogni operazione, in modo da consentire la ricostruzione a posteriori e l’individuazione dei soggetti che hanno effettuato e autorizzato la transazione, nonché dotarsi di un codice etico che formalizzi per gli appartenenti all’ente i principi aziendali, nel rispetto dei valori di legalità.

In definitiva, la ricorrenza di tali elementi, rimessi al vaglio della Magistratura, sarà determinante per valutare l’operato dell’ente, in termini di trasparenza, correttezza, lealtà nei rapporti con i propri portatori d’interesse, tra cui amministratori e soci ma anche la Pubblica Amministrazione e l’intero sistema economico.

Passando al secondo quesito, va premesso che l’attività della Guardia di Finanza si è evoluta in questo settore a seguito dell’introduzione dell’art. 25-quinquiesdecies del DLgs. 231/2001 che prevede la responsabilità “231” per i più gravi reati tributari.

Tale introduzione impone, infatti, alla polizia giudiziaria che sta indagando sul reato presupposto, di rappresentare al Pubblico Ministero tutte le circostanze di fatto utili a verificare la sussistenza dei presupposti da cui può scaturire l’eventuale responsabilità dell’ente. Nello specifico, la polizia giudiziaria, nel rispetto delle direttive del Pubblico Ministero titolare delle indagini, è chiamata a rilevare se il reato presupposto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da soggetti apicali o sottoposti e se questi abbiano agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi, circostanza che escluderebbe la responsabilità ex DLgs. 231/2001, nonché a verificare l’idoneità dei modelli organizzativi eventualmente adottati a prevenire la commissione di reati della specie di quello presupposto.

Come evidenziato anche nella giurisprudenza e nella dottrina più recenti, vi è in questo ambito un tema delicato che attiene alla possibile sovrapposizione di persona giuridica e persona fisica nell’ambito delle violazioni fiscali (si veda “Ne bis in idem per la dichiarazione fraudolenta 231” del 7 dicembre 2022).

La GdF affronta proprio il caso dell’eventuale coincidenza tra il management e la compagine sociale con particolare riferimento alle società a responsabilità limitata unipersonali, alla luce dei principi esposti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 45100/2021, secondo cui occorre valutare nel concreto, caso per caso, se la contestuale punibilità dell’ente e del suo rappresentante legale per il medesimo fatto costituisca una violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale.

Tale accertamento, secondo la Suprema Corte, deve essere effettuato sulla base sia di criteri quantitativi, in termini di dimensioni dell’impresa e di struttura organizzativa della società, sia funzionali, fondati sull’impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo “governa”, e, dunque, di configurare una colpevolezza dell’ente disgiunta da quella dell’unico socio.