Col deposito del Ddl. di bilancio alla Camera riemergono le problematiche caratterizzanti le pregresse definizioni

Di ALFIO CISSELLO

Quanto era stato anticipato su Eutekne.info (si veda “Nuova definizione delle liti a rischio limitazione agli atti impositivi” del 29 novembre 2022), purtroppo, ha trovato conferma: secondo la Relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio 2023, ufficialmente depositata alla Camera, la definizione delle liti pendenti è circoscritta alle liti su atti sostanzialmente impositivi, con esclusione di quelli aventi mero fine liquidatorio.

Non importa che nel testo del disegno di legge – su cui oggi alle ore 14 il Ministro Giorgetti terrà un’audizione presso le commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato –, non ci sia nessun riferimento (a differenza di quanto può dirsi per le definizioni precedenti, vedasi ad esempio l’art. 6 del DL 119/2018), non importa che il concetto di atto impositivo, per volontà del legislatore, compaia specificamente solo in altre definizioni, come la conciliazione giudiziale agevolata.
Insomma, quello che il legislatore intende chiaramente fare uscire dalla finestra (ovvero le liti sul diniego di definizione che spesso hanno ad oggetto la delineazione dogmatica del concetto di atto impositivo) rientra dalla porta grazie alla Relazione illustrativa.

Il rischio, infatti, è che gli uffici “si adeguino” e, con direttive interne o documenti di prassi, oppongano, come in passato, il diniego su liti avverso avvisi di liquidazione e cartelle di pagamento.
Si spera che in sede parlamentare nel testo della norma si precisi, espressamente, che la definizione riguarda ogni tipo di atto impugnato (sebbene sia già così, in quanto si parla di controversie tributarie senza nessun limite).
Ove ciò non avvenisse, in parte potrebbe risultare vanificata la ratio legis sottesa alla definizione delle liti, che è quella di deflazionare il contenzioso, oltre che ovviamente di far entrare liquidità nelle casse erariali.

Si ricorda, infatti, il contenzioso che si è creato in merito alle definizioni pregresse: su una vasta gamma di cartelle di pagamento e di avvisi di liquidazione veniva opposto il diniego di definizione non trattandosi di atti impositivi.
Per fortuna, la giurisprudenza assolutamente maggioritaria è favorevole al contribuente.
È pacifico che sono definibili gli avvisi di accertamento senza distinzioni di sorta anche se relativi a imposta di registro, così come gli accertamenti esecutivi e una buona parte degli avvisi di recupero del credito di imposta.
Lo stesso vale per gran parte degli atti di contestazione delle sanzioni.

Il problema si pone per le cartelle di pagamento e gli avvisi formalmente denominati come di liquidazione.
La giurisprudenza ha sancito che sono definibili:
– le liti sulle cartelle di pagamento scaturenti da liquidazione automatica laddove, in qualsiasi maniera, sia contestato il merito della pretesa, anche se si tratta di meri omessi versamenti (Cass. SS.UU. 25 giugno 2021 n. 18298);
– le liti sulle cartelle di pagamento notificate agli obbligati in solido, essendo la cartella, anche in questo caso, il primo atto impositivo notificato al contribuente (Cass. 10 novembre 2022 n. 33176, Cass. 22 novembre 2022 n. 34384);
– le liti sugli avvisi di liquidazione derivanti da registrazione delle sentenze (Cass. 11 ottobre 2022 n. 29696);
– le liti sull’estratto di ruolo se si censura la mancata notifica degli atti presupposti (Cass. 16 novembre 2022 n. 33838).
Insomma rimangono fuori le liti sulle cartelle di pagamento scaturenti da atti non impugnati oppure oggetto di giudizio solo per vizi propri (Cass. 18 novembre 2021 n. 35136).

Se il quadro giurisprudenziale è tutto sommato rassicurante, non si può comunque accettare che, presentata la domanda di definizione, si debba presentare ricorso contro un diniego di definizione accollandosi le spese del difensore, spese che, spesso, potranno essere compensate.

Ciò potrà costituire un elemento di ritrosia dei contribuenti riguardo alla definizione: in prima battuta, il difensore non potrà che prospettare loro l’eventualità di un ulteriore processo contro il diniego di definizione.
Confidiamo almeno nel buon senso dell’Agenzia delle Entrate, che potrebbe recepire il principio delle Sezioni Unite abbandonando i contenziosi in essere e non opponendo più i dinieghi di definizione.