Il Ddl. di bilancio 2023 sembrerebbe superare quanto affermato dall’Agenzia in via interpretativa

Di LUCA MIELE

L’intervento contenuto nel disegno di legge di bilancio 2023 in materia di tassazione delle operazioni su cripto-attività sembra voler modificare anche il regime fiscale dei redditi derivanti dalla attività di staking. L’inserimento della nuova fattispecie di redditi diversi di cui all’art. 67 comma 1 lett. c-sexies) del TUIR includerebbe, infatti, anche i redditi derivanti dalla detenzione di cripto-attività e ciò potrebbe voler indicare la volontà del legislatore di ricomprendere anche la remunerazione derivanti dal “proof-of-stake”.

Il tema dell’attività di staking di criptovalute è stato affrontato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 437/2022, che ha sostenuto l’inclusione delle remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking nell’ambito dell’art. 44 comma 1 lett. h) del TUIR e quindi attribuendo a tali remunerazioni la natura di redditi di capitale. In sostanza, secondo l’Agenzia, il vincolo di indisponibilità che viene posto sulle criptovalute per il tempo necessario alla produzione e alla convalida dei blocchi della blockchain, a fronte di una remunerazione in criptovalute determinata dalla stessa blockchain, dà luogo a un provento che trova la fonte in un rapporto che presenta come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale. Secondo l’Amministrazione finanziaria, l’art. 44 comma 1 lett. h) del TUIR è una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal DLgs. 461/1997 al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale.

La tesi dell’Agenzia non è condivisa da chi ritiene invece che la natura del reddito corrispondente alla remunerazione derivante dall’attività di staking sia quella di reddito “diverso”, soprattutto in quanto tale attività non sarebbe caratterizzata da un rischio finanziario; in altre parole, non sussisterebbe la possibile perdita del capitale investito. Secondo questa tesi, la creazione del vincolo di indisponibilità temporanea sulle criptovalute darebbe luogo all’assunzione di un obbligo di non alienazione, e conseguentemente le remunerazioni in criptovaluta percepite dalla blockchain sarebbero da configurarsi come un reddito diverso ai sensi dell’art. 67 comma 1 lett. l) del TUIR, relativamente all’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.

Il nuovo art. 67 comma 1 lett. c-sexies) del TUIR (art. 31 del disegno di legge bilancio 2023) includerebbe tra i redditi diversi le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominata, archiviata o negoziata elettronicamente su tecnologie di registri distribuiti o tecnologie equivalenti, non inferiori complessivamente a 2.000 euro nel periodo di imposta.
Il riferimento alla detenzione di cripto-attività (comprese quindi le criptovalute) sembra voler includere la fattispecie della remunerazione dell’attività di staking fra i redditi diversi, superando quindi quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate in via interpretativa.
La mera detenzione di criptovalute, in assenza di operazioni fiscalmente rilevanti ai sensi dell’art. 67 del TUIR, non dà ovviamente luogo a materia imponibile; orientamento, peraltro, condiviso anche dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 788/2021.

La nuova norma stabilirebbe altresì che non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi medesime caratteristiche e funzioni. La relazione illustrativa, al riguardo, chiarisce che, ad esempio, non assume rilevanza lo scambio tra valute virtuali (mentre assume rilevanza la conversione di una criptovaluta in euro o in valuta estera o l’utilizzo di una cripto currency per acquistare un NFT). Si tratta di un chiarimento opportuno in quanto la risposta 14 gennaio 2018 n. 956/39 aveva incluso tra le cessioni a titolo oneroso di criptovalute anche il loro cambio con altre criptovalute.

La novità legislativa determinerebbe, altresì, il venir meno – con riferimento alle criptovalute – dell’applicazione della lett. c-ter) dell’art. 67 comma 1 del TUIR che considera come produttiva di plusvalenze la cessione a titolo oneroso di valute estere detenute su depositi o conti correnti nel periodo di imposta per almeno 7 giorni lavorativi continui e per un importo superiore a 51.545,69 euro, determinato sulla base del cambio al 1° gennaio di ciascun periodo di imposta.
Si trattava di una fattispecie di cessione di valuta virtuale che dava luogo a redditi diversi, soltanto al verificarsi delle condizioni temporali e quantitative indicate; fattispecie non più applicabile alle criptovalute in quanto la nuova lett. c-sexies) del comma 1 dell’art. 67 include tra le plusvalenze e i proventi tassabili tutte le cessioni a tiolo oneroso.
In tal senso, verrebbero quindi meno tutti gli aspetti interpretativi (e le complicazioni) concernenti la determinazione del limite di 51.645,69 euro per la verifica del quale occorre sommare tutti i depositi e i conti correnti detenuti dai contribuenti; complessità che tuttavia continuano a riguardare le valute estere (ma non più le criptovalute).