Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, invece, occorre lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto

Di MAURIZIO MEOLI

Integra la fattispecie di illecita influenza sull’assemblea (art. 2636 c.c.) la falsificazione del libro soci di una società cooperativa in modo da retrodatare l’ingresso di taluni soggetti nella compagine sociale in vista di una determinata assemblea nella quale si viene a decretare l’esclusione di alcuni soci, acquisendo il pieno controllo della società.
È questo il principio desumibile dalla sentenza n. 36000/2022 della Cassazione.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2636 c.c., è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determini la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
Nel caso di specie, erano le condotte evidenziate in premessa a valere una condanna per la fattispecie in questione sia in primo grado che in appello. Si tratta di decisioni considerate corrette dai giudici di legittimità.

Le motivazioni della Suprema Corte partono da una analisi del reato contestato che evidenzia, da un lato, come esso richieda un elemento di frode, integrato da comportamenti artificiosi o simulatori idonei a realizzare un inganno, configurandosi un reato a forma vincolata, dall’altro, come, essendo il reato posto a tutela dell’interesse al corretto funzionamento dell’organo assembleare, per la sua consumazione sia necessario che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza, configurandosi, quindi, anche un reato di evento.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, invece, occorre il dolo specifico, in quanto l’agente, oltre ad avere la consapevolezza di determinare la maggioranza assembleare mediante atti simulati o fraudolenti, deve agire al fine di perseguire per sé o per altri un ingiusto profitto (profitto che potrebbe anche essere di natura non patrimoniale).

Al di là della nozione di atti fraudolenti, inoltre, la Cassazione ribadisce come quella di “atti simulati” non debba essere intesa in senso civilistico – facendo, quindi, esclusivo riferimento all’istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 e ss. c.c. – ma debba essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, che include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (cfr. Cass. n. 17854/2009).

Si ricorda, quindi, come, nel tempo, siano state ritenute rilevanti le seguenti condotte:
– l’utilizzo di azioni o quote “non collocate”, ovvero quelle non vendute o quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto;
– l’occultamento della mora nei versamenti, che precluderebbe al socio il diritto di voto, traendo in inganno l’assemblea;
– le dichiarazioni mendaci o reticenti di amministratori o terzi con le quali l’assemblea o i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o sulla convenienza di una delibera;
– l’incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall’art. 2372 c.c.;
– la maliziosa convocazione di un’assemblea in tempi o luoghi tali da rendere impossibile un’effettiva partecipazione dei soci;
– i possibili abusi funzionali posti in essere dal presidente dell’assemblea (si pensi, ad esempio, all’artificiosa o fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all’inverso, all’ammissione al voto di soggetti non legittimati);
– la falsificazione, come nel caso di specie, della documentazione relativa all’assemblea dei soci.

Nel caso in esame, peraltro, gli imputati non contestavano il fatto che la loro condotta avesse influito sulla corretta formazione della maggioranza assembleare, ma, sembrerebbe, ritenevano non presenti né la necessaria componente fraudolenta del reato, né un profitto illecito per se stessi, né un danno per i soggetti esclusi.

Si tratta di censure respinte dalla decisione in commento. Si evidenzia, infatti, come le sentenze di merito avessero ravvisato:
– la predisposizione di atti fraudolenti, ovvero la falsificazione del libro soci;
– la creazione di una maggioranza assembleare non genuina attraverso la quale l’esclusione di alcuni soci era stata deliberata da soggetti privi del diritto di voto;
– il nesso di causalità tra gli atti fraudolenti e la determinazione della maggioranza assembleare “alterata”;
– il dolo specifico, consistente nel volersi procurare un profitto costituito dal controllo della società.

Si tratta di fattori considerati sufficienti per ritenere correttamente integrata la fattispecie in questione. Ciò senza che alcun rilievo possa essere attribuito all’ulteriore elemento del danno per i soggetti esclusi. L’art. 2636 c.c., infatti, contempla quale unico evento del reato l’aver inciso (fraudolentemente) sulla determinazione dell’assemblea.