Assonime commenta la sentenza Impregilo nell’attuale «era dell’organizzazione»

Di Maria Francesca ARTUSI

Facendo seguito alla recente pronuncia di legittimità che ha concluso il noto caso Impregilo in tema di responsabilità 231, Assonime – con il caso n. 4/2022 – auspica “che la solidità e la chiarezza dei principi affermati possano guidare gli orientamenti giurisprudenziali e contribuire positivamente alla certezza dei rapporti giuridici e alla prevedibilità delle decisioni”.
Si tratta di un commento alla sentenza n. 23401/2022 della Cassazione, depositata lo scorso 15 giugno e già commentata su Eutekne.info (si veda “Nesso tra mancata autonomia dell’OdV e idoneità del modello da dimostrare” del 16 giugno 2022).

La vicenda su cui interviene la sentenza in commento trae origine dall’imputazione in capo alla società Impregilo – a titolo di responsabilità amministrativa ex DLgs. 231/2001 – del delitto di aggiotaggio informativo posto in essere, nel suo interesse e vantaggio, tra il dicembre 2002 e il marzo 2003, dal presidente del consiglio di amministrazione e dall’amministratore delegato della stessa società, mediante diffusione di notizie false al mercato sulle previsioni di bilancio e sulla solvibilità di una società controllata.

Sia il Tribunale di Milano, sia la Corte d’appello avevano assolto la società riconoscendo – per la prima volta dall’entrata in vigore del decreto legislativo 231/2001 – l’idoneità del modello organizzativo.
La sentenza di proscioglimento era poi stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 4677/2014).
Assonime da un lato evidenzia che – guardando alla inammissibile lunghezza del processo – si tratta di questione che non riguarda solo l’impresa coinvolta nel giudizio di accertamento della responsabilità ex DLgs. 231/2001, ma l’intero sistema economico, la certezza del diritto, la fiducia dei cittadini verso la giustizia e le istituzioni.

D’altra parte, la pronuncia viene lodata in quanto una chiara interpretazione delle principali questioni affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel corso dei venti anni di applicazione del DLgs. 231/2001 sulla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, attraverso una lettura delle norme che riconduce il fondamento della responsabilità alla “colpa di organizzazione” e restituisce centralità alla funzione di prevenzione sottesa alla disciplina, ma anche ai profili premiali della disciplina, sancendo il tramonto del discusso sillogismo secondo cui il reato commesso equivale a modello inadeguato.

Vengono in particolare evidenziati i seguenti corollari che possono trarsi dalle motivazioni. Innanzitutto, la commissione del reato non equivale a dimostrare che il modello non sia idoneo. Diversamente, la clausola di esonero della responsabilità dell’ente non potrebbe mai trovare applicazione, con la conseguenza di affermare in capo alla società una forma di responsabilità oggettiva incompatibile con i principi costituzionali della responsabilità penale. In secondo luogo, l’ente risponde quando non si è dato un’organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla, configurando in tal modo la colpa di organizzazione come un elemento costitutivo dell’illecito dell’ente che è onere dell’accusa provare. In tal senso l’art. 6 del decreto non prevede alcuna inversione dell’onere probatorio.

Infine, la natura di responsabilità colposa in cui si inquadra la disciplina in esame impone al giudice di dimostrare non soltanto la violazione della specifica regola cautelare, che non ha impedito o agevolato la commissione del reato, ma anche una corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare e la produzione del risultato offensivo. Ciò conduce a prendere in considerazione il “comportamento alternativo lecito”, vale a dire a valutare l’ipotesi in cui anche l’osservanza della regola cautelare non avrebbe consentito di eliminare l’evento. In altre parole, la responsabilità dell’ente non potrebbe essere affermata quando l’osservanza della specifica regola cautelare non avrebbe comunque consentito di eliminare o ridurre il pericolo derivante da una determinata attività.

Interessante è la sottolineatura sulla c.d. “era dell’organizzazione”, nella quale vengono ricondotte agli assetti organizzativi le responsabilità dell’impresa e dei suoi organi anche a tutela di interessi collettivi e generali (ad es. in materia di ambiente, privacy, crisi d’impresa, mercati). Tale osservazione si collega a quel punto delle motivazioni della sentenza in cui viene richiamato il ruolo delle linee guida delle associazioni di categoria, ma allo stesso tempo si precisa come l’implementazione dei modelli sia frutto di un processo di auto-normazione.

Viene infine valorizzata l’interpretazione che pur riconoscendo la centralità dell’OdV nel sistema dei controlli societari, ne delinea il perimetro delle funzioni riconducendole esclusivamente ai compiti di monitoraggio sul modello organizzativo e sulla sua efficace attuazione, senza alcun potere di intervento diretto e impeditivo degli atti posti in essere in violazione del modello.