Rimangono le varie presunzioni legali previste dall’ordinamento

Di Alfio CISSELLO

L’art. 7 comma 5-bis del DLgs. 546/92, introdotto dalla L. 130/2022 e in vigore dal prossimo 16 settembre 2022, così prevede: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Non si tratta di un aspetto di assoluta novità nell’assetto processuale tributario ma è nel contempo di indubbio rilievo.
È vero che, da sempre, si afferma che l’ente impositore in quanto attore in senso sostanziale deve provare i fatti costitutivi della propria pretesa ex art. 2697 c.c. Ma è del pari vero che per casistiche di enorme importanza la prova è addossata dalla giurisprudenza al contribuente (per tutte sull’inerenza, Cass. 13 febbraio 2006 n. 3109 e Cass. 20 dicembre 2007 n. 26837).

Questo principio, come detto di derivazione giurisprudenziale viene meno, ma ovviamente ciò non scardina il procedimento che sta alla base della formazione dell’avviso di accertamento.
Il funzionario dovrà sempre chiedere i documenti giustificativi dei costi al contribuente e questi, pena la preclusione probatoria dell’art. 32 comma 4 del DPR 600/73, li dovrà esibire.

Sicuramente il contribuente non potrà limitarsi a sostenere che, ora, è il Fisco che autonomamente deve procurarsi le prove, pena la soccombenza nel successivo giudizio.
È vero che a livello di principio c’è il nuovo comma 5-bis, ma comunque il Fisco chiederà i documenti e potrà negare la deduzione se li ritiene non significativi.

Ove si controverta non sulla significatività del documento a provare il carattere effettivo del costo ma sul nesso di inerenza del costo all’attività aziendale, a ben vedere il discorso si sposta più sulla motivazione che sulla prova.
Allora, vale l’art. 7 della L. 212/2000, quindi o nell’accertamento sono puntualmente indicati i presupposti di fatto e di diritto della pretesa o il ricorso va accolto.

Sono noti gli orientamenti della giurisprudenza sul punto: si è cominciato ad affermare che la motivazione è presente quand’anche gli atti richiamati non siano conosciuti ma solo conoscibili dal contribuente, in altri termini basta che questi se li vada a cercare (Cass. n. 23696/2022, Cass. n. 593/2021). Si è poi arrivati ad affermare che la motivazione entro certi limiti può essere integrata in corso di causa (Cass. n. 28560/2021).
Sebbene il nuovo comma 5-bis, testualmente, riguardi la prova, esso dovrebbe indurre i giudici a cambiare orientamento annullando gli atti privi di motivazione.

Non è raro che il contribuente si trovi a ricorrere contro atti completamente privi di motivazione e purtroppo non è del pari raro che il ricorso non sia accolto per questo solo motivo, essendo il giudice portato a sostenere che se il contribuente si difende ha capito le ragioni della pretesa.
Ammettere che siano motivati atti che si limitano a richiamare la norma di riferimento (si pensi alla registrazione degli atti giudiziari, o agli accertamenti in tema di tributi locali) senza aggiungere alcunché si pone in contrasto con lo spirito alla base del nuovo comma 5-bis.

Ha poco senso affermare che la prova (dimostrazione della pretesa) deve essere circostanziata, puntuale e non contraddittoria se poi si ammette che la motivazione (descrizione di quella stessa pretesa) possa consistere in un pedissequo elenco delle norme di riferimento e in una sola tabella in cui ad esempio viene quantificata la maggiore IMU.

Del resto, in moltissime ipotesi nelle aule di giustizia si discute più di motivazione, intesa come ragione in diritto del recupero, che di prova.
Detto tanto, rimangono le varie ipotesi di inversione dell’onere della prova previste dal sistema, si pensi alle presunzioni derivanti dalle movimentazioni bancarie (art. 32 del DPR 600/73) oppure al c.d. redditometro (art. 38 del DPR 600/73).

Vengono, invece, a nostro avviso ridimensionate le presunzioni di origine giurisprudenziale, che non dovrebbero nemmeno esistere ma che purtroppo sono all’ordine del giorno: pensiamo alla presunzione di distribuzione degli utili neri ai soci di società di capitali.
Ammesso e non concesso che ciò sia sostenibile, la presunzione permane ovvero il Fisco potrà continuare a sostenere che ai soci può essere imputato il maggior reddito accertato in capo alla società.

A questo punto, non dovrebbe però scattare nessuna inversione dell’onere della prova, posto che in base al nuovo comma 5-bis sarà il Fisco a dover dimostrare che il socio ha incassato quegli utili, pena una sostanziale inutilità del neointrodotto intervento normativo.