Devono essere idonei ad agevolare le attività di reporting e a favorire gli obblighi di collaborazione che i vari enti coinvolti potrebbero attuare

Di Maria Francesca ARTUSI

Alla luce della nuova legge in materia di reati contro il patrimonio culturale (L. 22/2022), l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha pubblicato una relazione che evidenzia le novità normative, sia nel codice penale, sia con riferimento alla responsabilità delle società e degli enti.

Proprio con riguardo ai nuovi reati presupposto introdotti nel DLgs. 231/2001 (artt. 25-septiesdecies e 25-duodevicies), tale documento precisa che la riforma investe varie categorie di soggetti collettivi che si muovono nel complesso scenario della gestione e circolazione dei beni culturali, con compiti di responsabilità diffusa anche nella salvaguardia del patrimonio quali esemplificativamente: gli enti museali, le case d’asta, le fondazioni, le associazioni, le società partecipate e tutte le istituzioni private in genere, anche se prive di finalità lucrative, costituite in forma societaria o associativa, coinvolte a vario titolo nel settore dei beni culturali.

Il sistema sanzionatorio nei confronti delle persone giuridiche è ritenuto in grado di svolgere un’efficace azione preventiva e reintegrativa e rappresenta un “traguardo significativo” nel rilievo che, non di rado, le attività di import-export illecito di beni culturali si svolgono nell’ambito di compagini societarie lecite (si pensi alle case d’asta) ovvero destinate principalmente al traffico illecito, magari mascherate con attività di copertura di vario genere.

Ai fini del meccanismo della compliance, i modelli di organizzazione, gestione e controllo andranno all’uopo implementati da parte delle istituzioni museali, case d’asta e di tutti gli enti interessati favorendo l’adozione di modelli idonei ad agevolare le attività di reporting e a favorire gli obblighi di collaborazione che i vari enti coinvolti potrebbero attuare, ispirandosi alle Linee guida delle Nazioni Unite per la prevenzione e repressione del traffico di beni culturali del 2014 ed alle misure pre-penali di cui alla Convenzione di Nicosia del 19 maggio 2017.

Si tratta ad esempio del tracciamento dell’origine degli oggetti d’arte e della catena proprietaria; della registrazione (e del regolare aggiornamento), presso archivi elettronici istituiti (o implementati) appositamente, di tutti i dati relativi ai beni culturali di cui sono in possesso; dell’introduzione, ove non già presenti, di sistemi (auspicabilmente informatici, per migliorare la tracciabilità) di licenze di esportazione e importazione per i beni culturali; dell’adozione di registri (ancora una volta, auspicabilmente elettronici) delle transazioni commerciali riguardanti opere d’arte e di antiquariato, laddove non già previsti; del monitoraggio delle compravendite di questi beni su internet, possibilmente con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei gestori delle piattaforme potenzialmente utilizzate a questo fine; della segnalazione presso le autorità competenti di attività sospette.

La relazione in esame rammenta, altresì, che la giurisprudenza di legittimità pone in capo al soggetto collettivo l’onere, con effetti liberatori, della dimostrazione della loro previa adozione ed efficace attuazione, prima della commissione del reato (così Cass. SS.UU. n. 38343/2014) e dell’istituzione di un organismo di vigilanza provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo che risulti sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato (derivandone, altrimenti, l’inidoneità a fini esimenti del modello come precisato da Cass. n. 52316/2016), mentre compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza, prima della commissione del fatto, di un modello organizzativo e la sua efficace attuazione o meno nell’ottica prevenzionale (Cass. n. 43656/2019).

Viene comunque ribadito il principio per cui l’eventuale mancanza del modello, di per sé, non può implicare un automatico addebito di responsabilità, per la cui sussistenza il Pubblico Ministero deve fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente (così, da ultimo, Cass. n. 18413/2022).