Il termine «professionista» è impiegato in termini generali e può riferirsi a qualunque attività che legittimamente offra consulenza fiscale

Di Maria Francesca ARTUSI

Nell’ambito del diritto penale tributario è prevista una specifica aggravante quando il reato è commesso nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Tale circostanza è prevista al comma 3 dell’art. 13-bis del DLgs. 74/2000, così come introdotto dal DLgs. 158/2015, ove si prevede che, nelle ipotesi citate, le pene stabilite per i delitti fiscali siano aumentate della metà.
La sentenza n. 23095 della Cassazione, depositata ieri, specifica in proposito che, per la configurabilità dell’aggravante, non è sufficiente che il fatto di reato sia commesso “nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale”, poiché la norma esige anche che questa sia “svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario”.

Ciò comporta che la nozione di professionista è impiegata in termini generali senza evocare una particolare professione, e quindi può essere riferita a qualunque attività professionale che legittimamente si occupi di consulenza fiscale.
Nello stesso senso, in effetti, si era già espressa la giurisprudenza penale di legittimità, affermando che è doveroso attribuire alla nozione più generale di professionista, in assenza di richiami specifici, un significato sostanziale, ricomprendendovi cioè chiunque svolga attività di consulenza fiscale nell’esercizio della sua professione; dunque commercialisti, avvocati, consulenti e così via (così Cass. n. 36212/2019).

Nel procedimento affrontato dalla pronuncia oggi in commento era stato contestato che un gruppo di società, facente capo ad un unico soggetto, aveva ideato un sistema fraudolento così strutturato: le cosiddette “società operative” del gruppo si interfacciavano con le strutture alberghiere concludendo contratti di appalto per servizi di pulizia e facchinaggio. Le relative prestazioni, però, venivano “subappaltate” a società differenti aventi solo formalmente una struttura autonoma e distinta dalle loro committenti e solo formalmente in carico il personale dipendente da destinare allo svolgimento dei servizi oggetto dei contratti di appalto.

In tale contesto si inserivano altresì le cosiddette società di “supporto tecnico” cui era demandato il compito di occuparsi della gestione amministrativa e contabile del gruppo e della consulenza in materia di lavoro.
Lo schema della frode era quindi caratterizzato essenzialmente dalla simulazione dei contratti di subappalto stipulati tra le società operative e le società subappaltatrici, che fungevano da meri serbatoi di personale, e dalla parallela simulazione dei contratti di lavoro tra questi ultimi e il personale dipendente.

Il sistema di intermediazione illecita di manodopera da parte delle società subappaltatrici a vantaggio delle società operative è stato ricostruito in ragione del contenuto di numerose email e documenti posti in sequestro, grazie ai copiosi accertamenti bancari patrimoniali e alle assunzioni a sommarie informazioni di alcuni lavoratori.

Era, dunque, stata contestata la circostanza aggravante di cui al citato art. 13-bis al commercialista che seguiva tale gruppo, dal momento che costui era stato coinvolto nella predisposizione delle fatture che tutte le subappaltatrici formalmente emettevano nei confronti delle società operative sulla base delle indicazioni provenienti da queste ultime. Tale attività veniva svolta sia a favore delle cooperative cui era vincolato da un formale rapporto di lavoro quale formale addetto alla contabilità, sia per le società subappaltatrici con cui non aveva alcun formale rapporto di lavoro. Le indagini avevano altresì messo in luce che costui aveva operato in modo continuativo per un lasso importante di tempo in favore del meccanismo fraudolento; elementi dai quali – anche ai giudici di legittimità – è apparsa desumibile la piena consapevolezza del fatto che le società subappaltatrici erano mere scatole vuote riconducibili a un unico centro di interesse costituito dal gruppo.

Si è aggiunto inoltre che il professionista si è interessato anche di attività diverse dalla materiale compilazione delle fatture di concerto con le società utilizzatrici ed operava nella qualità di consulente, trasmettendo le denunce retributive e contributive UniEmens per conto di numerose “società serbatoio” di personale in rapporti con il gruppo.
Alla luce di tutto ciò, viene confermato il sequestro preventivo del profitto dei reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del DLgs. 74/2000, aggravato dalla circostanza di cui all’art. 13-bis del DLgs. 74/2000.