In concreto, tuttavia, le differenze tendono a sfumare

Di Maurizio MEOLI

Non sono chiari i confini tra attività di direzione e coordinamento ed amministrazione di fatto. Eppure, in via astratta, le differenze appaiono pacifiche: la prima realizza l’impostazione strategica della gestione di un gruppo, ma non pone in essere singole operazioni di gestione; la seconda, invece, è concretizzata da chi, in assenza di formale investitura, eserciti, in modo continuativo e significativo, con autonomia decisionale, le funzioni degli amministratori di diritto.

A fronte di ciò, in due casi molto simili, la giurisprudenza ha fornito indicazioni non coincidenti. In entrambe le ipotesi si trattava di azioni di responsabilità esercitate dai curatori fallimentari di srl fallite nei confronti di coloro i quali erano ritenuti, al tempo stesso, amministratori di fatto delle srl e partecipanti ad una società di fatto attraverso la quale esercitavano l’attività di direzione e coordinamento del gruppo (di cui le srl fallite facevano parte).

Secondo il Tribunale di Roma (decisione dell’11 gennaio 2022), l’accertamento in capo a determinati soggetti della amministrazione di fatto porterebbe ad escludere, logicamente, un’attività di direzione e coordinamento sulla società stessa effettuata dai medesimi soggetti direttamente o per il tramite di una società partecipata ed amministrata. Ciò in quanto nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento si condiziona l’operato dell’amministratore di diritto della controllata senza compiere direttamente gli atti gestori, mentre gli amministratori di fatto della controllata pongono, essi stessi, in essere gli atti di gestione.

In particolare, i giudici romani osservano come l’attività di direzione e coordinamento, quale attività di fatto, giuridicamente rilevante, si esplichi come influenza dominante su scelte e determinazioni gestorie degli amministratori della società eterodiretta che ne sono naturali referenti e destinatari. Tale attività, quindi, si distinguerebbe dall’amministrazione di fatto della società controllata, in quanto l’ente dirigente non agisce compiendo esso stesso atti di gestione della società eterodiretta rilevanti verso i terzi o spendendo il nome di lei, ma influenza o determina le scelte gestorie operate dagli amministratori della società diretta, che si tradurranno in atti gestori (rilevanti verso i terzi) compiuti, in esecuzione delle direttive, dagli amministratori della società diretta. La controllante, dunque, non esercita i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore. L’attività di direzione e coordinamento è un’attività atipica – che può assumere forma orale o scritta e le modalità più svariate, avente come soggetto l’ente dirigente e come destinatari gli amministratori della società diretta – consistente nella espressione di volontà della controllante in ordine ad atti gestori che dovranno essere compiuti dagli amministratori della società diretta (e poi, di conseguenza, imputati ad essa).

La Cassazione (sentenza n. 2952/2015; cfr. anche Cass. n. 12979/2015), invece, ha stabilito che la fattispecie di responsabilità da attività di direzione e coordinamento non preclude la possibilità di affermare anche l’esistenza della figura dell’amministratore di fatto e della relativa responsabilità (l’amministrazione di fatto, quindi, non escluderebbe l’attività di direzione e coordinamento). La formale esistenza di un gruppo, con conseguente assetto giuridico predisposto per una direzione unitaria, e l’amministrazione di fatto di singole società del gruppo da parte dei soggetti in tesi partecipanti alla società di fatto controllante il gruppo stesso, non sarebbero, infatti, situazioni incompatibili.

La seconda corrisponde ad una situazione di fatto in cui l’amministrazione è esercitata direttamente da un soggetto, in assenza di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita. La prima, invece, si presenta come una situazione di diritto nella quale ad una società controllante è consentita la direzione di una controllata, rispettando le regole del diritto societario e l’autonomia della società che viene diretta.

In relazione a tali situazioni non può escludersi che il soggetto cui sono attribuiti poteri di direzione, in quanto amministratore di una holding, possa esercitare di fatto poteri di amministrazione e, disattendendo l’autonomia della società controllata, comportarsi come se ne fosse l’amministratore. In tal caso, una situazione di fatto viene a sostituire il diverso assetto prefigurato dalle regole giuridiche.

Tale evenienza (ovvero una amministrazione di fatto) – conclude la Suprema Corte – “non può escludersi soltanto perché vengono apparentemente utilizzati strumenti propri della direzione unitaria, quali le direttive, quando in realtà il gruppo è ridotto ad un mero simulacro formale con l’integrale precostituzione delle decisioni dell’organo amministrativo della controllata, il quale agisce perciò quale mero esecutore degli ordini impartiti dagli amministratori della controllante. Non a caso, del resto, nella fattispecie in esame non si parla[va] di direttive ma di disposizioni impartite…”. Sembra, in pratica, ravvisarsi una amministrazione di fatto quale conseguenza della riduzione degli amministratori della controllata a meri esecutori delle decisioni degli amministratori della controllante, senza che siano questi stessi a concretizzare le scelte. Ma, in questo caso, pur essendo ritenuta (astrattamente) compatibile con una amministrazione di fatto, sembrano dissolversi le possibilità di configurare anche una attività di direzione e coordinamento.