La Cassazione si è pronunciata nel contesto ante DL 1/2012

Di Alfio CISSELLO

Per effetto dell’art. 99 comma 1 del TUIR, “Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 3 marzo 2022 n. 7112, applicando la menzionata norma, ha sancito che deve ritenersi deducibile dal reddito di impresa l’IVA recuperata a tassazione, nelle annualità in cui non era ancora in vigore l’art. 60 del DPR 633/72 post DL 1/2012.

Nella specie si era in presenza di IVA derivante da operazioni presumibilmente non fatturate in modo corretto, pagata in seguito a un accordo di adesione con le Entrate.
Il contribuente, per quanto sembra emergere dai fatti di causa, aveva trattato l’IVA come costo e l’aveva dedotta dal reddito di impresa. In sede di controllo, le Entrate avevano disconosciuto la deduzione ai sensi dell’art. 99 del TUIR, trattandosi di imposta per la quale è prevista la rivalsa.

In base al ragionamento della Cassazione, posto che l’IVA recuperata in sede di accertamento non può essere addebitata in rivalsa, finisce con l’essere un’imposta a carico del contribuente e in quanto tale deducibile dal reddito di impresa.
Come anticipato, i fatti di causa sono antecedenti al DL 1/2012, che ha introdotto l’art. 60 comma 7 del DPR 633/72, secondo cui “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.

Non si tratta di norma retroattiva, che aveva effetto dal 24 gennaio 2012.
I giudici precisano: “… non essendo possibile nel 2011 rivalersi, ratione temporis, dell’Iva in questione, non ostava alla sua deduzione, ai fini Ires ed Irap, il succitato art. 99 …”.
A oggi, essendo l’IVA accertata addebitabile in rivalsa, la deducibilità va esclusa ai sensi del richiamato art. 99 del TUIR.

Si può però effettuare una ulteriore considerazione: la rivalsa ex art. 60 del DPR 633/72 presuppone che il cessionario/committente sia individuato.
Laddove l’accertamento sia di tipo analitico-induttivo (tovagliometro, percentuali di ricarico …) o di tipo induttivo (in cui le operazioni imponibili possono essere ricostruite sulla base di ogni elemento in possesso degli uffici) la controparte contrattuale, spesso, non è individuata ne è individuabile, semplicemente in quanto la tipologia di accertamento ha come base una mera presunzione di evasione.

Pertanto, si tratta di maggiore IVA non addebitabile in rivalsa anche nel contesto attuale, dunque, applicando in modo esteso il principio della sentenza n. 7112, si potrebbe affermare che l’IVA richiesta ad esempio in sede di accertamento derivante dalle percentuali di ricarico sia deducibile dal reddito di impresa.

Il caso oggetto della sentenza n. 7112 non riguarda quindi la deduzione dal reddito di impresa dell’IVA recuperata al cessionario/committente in quanto indetraibile.
La giurisprudenza, in quest’ultimo caso, ha già optato per la deducibilità del costo, in un recupero derivante da operazioni soggettivamente inesistenti (C.T. Prov. Reggio Emilia 17 luglio 2017 n. 203/2/17).
Ovviamente, non può ritenersi deducibile l’IVA detratta e recuperata in quanto non inerente.

In ogni caso, la deduzione non riguarda le sanzioni irrogate dalle Entrate in ragione dell’omessa fatturazione o della indebita detrazione, per loro natura indeducibili, quanto meno secondo l’opinione maggiormente accreditata.