La responsabilità della banca può concorrere con quella degli organi sociali

Di Maurizio MEOLI

L’erogazione abusiva del credito, perché posta in essere al di fuori di un intento di risanamento aziendale e senza considerare le concrete possibilità di superamento della crisi, integra un illecito della banca finanziatrice che la obbliga al risarcimento dei danni correlati all’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa con conseguente fallimento. In tal caso, l’azione spetta al curatore fallimentare e la responsabilità della banca può sussistere in concorso con quella degli organi sociali, in via di solidarietà passiva, senza che sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni.
È questo, in estrema sintesi, il principio di diritto sancito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 24725, depositata ieri, che ribadisce quanto già affermato dalla Cassazione n. 18610/2021.

In simmetria rispetto all’abusivo ricorso al credito si pone la condotta, anch’essa illecita, della “concessione abusiva di credito”, che si concretizza nell’azione del finanziatore che conceda, o continui a concedere, incautamente credito a favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata. Ciò nel contesto di un sistema normativo dal quale emerge la rilevanza primaria dell’obbligo di valutare con prudenza, da parte dell’istituto bancario, la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare se in difficoltà economica (obbligo posto a tutela dell’intero sistema economico).

La concessione del credito da parte degli istituti bancari non rappresenta, quindi, un mero “fatto privato” tra le parti. Per cui l’ordinamento ha predisposto una serie di principi, controlli e regole tesi a gestirne i rischi, stante le possibili conseguenze negative della mancata restituzione non solo per la banca, ma anche in capo al soggetto finanziato e a coloro che con esso entrano in affari. Ed allora, non solo dalla condotta di abusivo ricorso al credito, ma anche da quella di abusiva concessione del credito, possono derivare danni alla società finanziata ed ai suoi creditori; danni tipicamente ravvisabili nella diminuita consistenza del patrimonio sociale e nell’aggravamento delle perdite in ragione della continuazione dell’attività d’impresa.

Di tali danni possono essere chiamati a rispondere sia gli organi sociali che la banca “illecitamente” finanziatrice. Peraltro, il legislatore da tempo mostra un evidente favor verso il sostegno finanziario all’impresa in crisi, ai fini della risoluzione della stessa attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento, favorendo la maggiore soddisfazione dei creditori.

Impostazione che sembrerebbe di dubbia compatibilità con la predetta responsabilità dell’operatore bancario per incauto finanziamento. Il tutto, però, ritrova coerenza considerando che, in tutti i casi in cui è agevolato il ricorso a finanziamenti da parte di società in crisi, si tratta comunque di norme speciali che introducono meccanismi procedimentalizzati e fondati su precisi presupposti e controlli idonei a renderli utili alla realizzazione di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale.

In tale contesto, a rilevare non è più lo stato di crisi o di insolvenza dell’impresa, seppure noto al finanziatore, ma la sussistenza o meno di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento della situazione di crisi. Vale a dire che il confine tra finanziamento “meritevole” e “abusivo” finisce per basarsi sulla ragionevolezza e sulla fattibilità del piano aziendale, con margini di responsabilità alquanto ristretti in ipotesi di procedura formalizzata e sottoposta a controlli esterni. Non integra, allora, abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi d’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa potenzialmente in grado, secondo una valutazione ex ante, di superare la crisi o almeno di permanere sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi.

Ove, invece, la concessione di credito dovesse risultare abusiva, il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento (ravvisabile nella diminuzione del patrimonio del soggetto fallito) e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. (la responsabilità della banca verso la società è a titolo precontrattuale, ex art. 1337 c.c., quando avrà contrattato senza il rispetto delle disposizioni speciali e generali che presidiano l’agire, e contrattuale, ex art. 1218 c.c., ove prosegua un finanziamento in corso, nonché aquiliana, ex art. 2043 c.c., verso i relativi creditori).

Questa responsabilità della banca può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui all’art. 146 del RD 267/1942, in via di solidarietà passiva ex art. 2055 c.c., a fronte di fatti causatori del medesimo danno, senza che sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di un mero litisconsorzio facoltativo.