Secondo Assonime l’assoggettabilità a IVA delle operazioni derivanti dagli accordi va valutata caso per caso

Di Luca BILANCINI e Corinna COSENTINO

Con la circolare n. 26 di ieri, Assonime ha esaminato il trattamento IVA delle somme pattuite nell’ambito di accordi transattivi, formulando considerazioni critiche in merito ad alcune posizioni assunte dall’Agenzia delle Entrate.

In diverse risposte a interpello di recente pubblicazione, infatti, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che le somme pattuite tra le parti in via transattiva costituissero il corrispettivo di una prestazione di servizi imponibile ai fini dell’imposta, consistente nell’assunzione dell’impegno a non proseguire azioni contenziose già iniziate, o comunque a non iniziare tali azioni o a rinunciarvi (cfr. risposte nn. 145/2021179/2021212/2021356/2021 e 401/2021). Dette somme sono state considerate, perciò, quale corrispettivo di un obbligo di non fare, da assoggettare a IVA ex art. 3 del DPR 633/72. In particolare, con riferimento alla fattispecie esaminata nella risposta n. 145/2021, è stato osservato che il nesso di sinallagmaticità funzionale rinvenibile dagli impegni reciprocamente assunti dalle parti conferma il carattere novativo degli accordi transattivi, con conseguente rilevanza IVA delle somme corrisposte.

A sostegno della propria interpretazione, l’Agenzia ha richiamato l’orientamento espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 23668/2018. Va però rilevato che la posizione della giurisprudenza sul punto non è univoca (cfr. Cass. n. 18764/2014 e, in tema di imposte dirette, Cass. n. 20316/2021).

Assonime muove alcune considerazioni critiche verso i recenti documenti di prassi emanati sul tema dall’Agenzia delle Entrate, rilevando, in particolare il fatto che l’orientamento assunto viene enunciato in termini assoluti mentre la rilevanza fiscale della transazione dovrebbe essere oggetto di una “valutazione caso per caso” che consenta di identificare la specifica volontà delle parti (come peraltro rilevato dalla stessa Agenzia nella precedente risposta a interpello n. 178/2019). In linea generale, infatti, il contratto di transazione “può incidere sui presupposti impositivi dell’IVA costituendo la base giuridica di variazioni relative a cessioni o prestazioni in essere fra le parti oppure di nuove operazioni”.

Nel primo caso, l’effetto dell’accordo transattivo sarebbe quello di permettere una variazione dell’imponibile. Si riporta, al riguardo, l’esempio in cui la lite riguarda un’operazione soggetta a IVA e le parti pattuiscono il pagamento solo parziale del corrispettivo o la risoluzione del contratto. In tale ipotesi, l’accordo avrebbe l’effetto di permettere una variazione in diminuzione ex art. 26 del DPR 633/72. Se invece fosse pattuito il pagamento di una somma a favore del soggetto che ha acconsentito alla risoluzione del contratto, questa costituirebbe il corrispettivo di una prestazione di servizi avente ad oggetto l’accettazione della risoluzione.

Di segno opposto l’interpretazione in ordine a un accordo che preveda che una parte chieda (e ottenga) la risoluzione del contratto e uno specifico importo a fronte della responsabilità della controparte per inadempimento degli obblighi contrattuali. Nel caso di specie la somma avrebbe natura risarcitoria, posto che si sarebbe in presenza di una risoluzione analoga a quella giudiziale.

Un’ulteriore fattispecie esaminata dall’Associazione fra le società italiane per azioni concerne l’accordo transattivo in base al quale il creditore accetta la stipula di un nuovo contratto di fornitura ricevendo dalla controparte un importo a titolo risarcitorio. La transazione assumerebbe carattere novativo, ma ciò non comporterebbe l’automatica rilevanza ai fini IVA della somma dovuta. La circostanza che le nuove pattuizioni siano frutto di un accordo transattivo non implica, infatti, “l’esistenza di prestazioni di servizi ulteriori rispetto a quelle derivanti dal contratto stesso”.

Secondo Assonime, benché l’art. 3 del DPR 633/72 annoveri fra le prestazioni di servizi le “obbligazioni di fare, non fare e di permettere”, resta, tuttavia, necessario che l’operazione si sostanzi in un servizio “consumabile”, circostanza che non potrebbe verificarsi laddove si sia in presenza di un impegno a non proseguire o iniziare una lite, atteso che “tale obbligo si caratterizza quale effetto tipico o naturale dell’accordo di composizione della controversia” (risposta a interpello n. 178/2019). La preclusione dell’azione contenziosa è un semplice effetto dell’accordo, “ma non costituisce il suo oggetto”.

Né può condividersi l’affermazione dei giudici di legittimità (Cass. n. 23668/2018) secondo cui comunque l’applicazione dell’IVA non avrebbe effetti sostanziali, potendo essere recuperata dal debitore. Basti pensare, infatti, ai soggetti (banche, assicurazioni, ecc…) che dovendo soggiacere al meccanismo del pro-rata, non potrebbero esercitare diritto alla detrazione per l’intero importo dell’imposta loro addebitata.

Sarebbe necessario, dunque, che la questione venisse riconsiderata dall’Agenzia delle Entrate. L’attribuzione di una rilevanza fiscale agli accordi transattivi extragiudiziali potrebbe, infatti, rendere antieconomico il ricorso a tale istituto, depotenziando così uno strumento utile alla definizione delle liti.