In caso contrario, un orientamento giurisprudenziale parla di mera inefficacia dell’acquisto

Di Maurizio MEOLI

Fino alle modifiche apportate dall’art. 1 comma 4 del DLgs. 142/2008, l’attività di assistenza finanziaria funzionale all’acquisto delle azioni proprie, ex art. 2358 c.c., era sempre e comunque contraria alla legge. Oggi, invece, è illegittima solo qualora non vengano rispettate le condizioni previste, a partire dalla preventiva autorizzazione dell’assemblea straordinaria.

Secondo la prevalente giurisprudenza, la conseguenza giuridica della violazione di tale disciplina sarebbe la nullità dell’operazione unitariamente considerata, ovvero, sia del contratto di finanziamento che degli acquisti o sottoscrizioni delle azioni (così, tra le altre, Trib. Padova 16 luglio 2020, Trib. Treviso 4 maggio 2020 e Trib. Venezia 29 aprile 2016, con particolare riguardo alle c.d. operazioni di “prestiti baciati” in ambito bancario).

Si evidenzia come la portata del divieto sancito dall’art. 2358 c.c. sia tale da riguardare qualsiasi forma di agevolazione finanziaria, sia anteriore che successiva all’acquisto (cfr. Cass. n. 15398/2013). Non deve, pertanto, ritenersi necessaria la sussistenza di un vero e proprio “mutuo di scopo”, o comunque di un “collegamento contrattuale” in senso proprio per il tramite di atti espressamente collegati per volontà dispositiva delle parti, essendo sufficiente verificare che i due negozi siano, in concreto, tra loro intenzionalmente legati dalle parti, e siano quindi, nella loro connessione fattuale, lesivi, di fatto o solo potenzialmente, dell’integrità del patrimonio sociale (cfr. Trib. Padova 16 luglio 2020 e Trib. Venezia 29 luglio 2019 nn. 1758 e 1760).

Tale correlazione può essere provata anche tramite prove testimoniali o presunzioni (cfr. anche Trib. Venezia 15 giugno 2016 e 29 aprile 2016).
Secondo il Tribunale di Treviso 13 gennaio 2021, invece, la conseguenza giuridica della violazione di tale disciplina maggiormente coerente con l’evoluzione della stessa sarebbe quella che conduce ad una inefficacia dell’operazione negoziale complessiva; anche nella specie connotata da una tipica operazione “baciata”, in cui all’assistenza finanziaria realizzata da una banca tramite un affidamento in conto corrente segua, a stretto giro, l’acquisto delle azioni della stessa tramite la relativa disponibilità.

Le operazioni in questione, infatti, rientrano nell’ambito degli atti gestori dell’organo amministrativo, che, però, incontrano, in primo luogo, il limite della necessaria e preventiva autorizzazione dell’assemblea straordinaria. Si tratta, dunque, di un limite al potere rappresentativo dell’organo amministrativo teso a prevenire i rischi di difficoltà nel rientro del finanziamento e di “egemonia” dell’organo amministrativo. Operando in violazione di un limite imposto dalla legge al suo potere rappresentativo, l’organo amministrativo viene ad agire quale rappresentante senza potere (c.d. falsus procurator); per cui l’atto compiuto in tale qualità sarebbe valido, ma inefficace (cfr. Cass. n. 22891/2016 e Cass. SS.UU. n. 11377/2015). Peraltro, ove il difetto di rappresentanza risultasse dagli atti, di esso il giudice dovrebbe tenere conto anche in mancanza di specifica richiesta della parte interessata (così Cass. SS.UU. n. 11377/2015).

L’inefficacia, poi, sarebbe da riferire direttamente al primo contratto, quello di assistenza finanziaria (ovvero, nella specie, di affidamento bancario); essa, poi, si ripercuoterebbe anche sul secondo (di acquisto o sottoscrizione di azioni) in virtù dello stretto nesso di dipendenza funzionale. L’espansione dell’inefficacia risponderebbe, infatti, alla logica del collegamento negoziale – che in questo caso è fissato direttamente dalla norma – essendo l’assistenza finanziaria funzionale all’acquisto di azioni proprie (cfr. Cass. n. 20726/2014 e Cass. n. 21417/2014, secondo le quali, in virtù del collegamento negoziale, le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia ed alla risoluzione dell’uno si ripercuotono sugli altri).

Le differenze tra le due patologie, peraltro, sfumano all’atto pratico se si osserva come in entrambi i casi il difetto possa essere rilevato dal giudice d’ufficio, le azioni dirette a farle dichiarare siano imprescrittibili (sull’imprescrittibilità dell’azione tesa a far dichiarare l’inefficacia del negozio nei riguardi del preteso rappresentato si veda Cass. n. 10600/2016) e le conseguenze del vizio si ripercuotono anche sui negozi collegati.

La previsione della sanzione dell’inefficacia in luogo della nullità, tuttavia, sembrerebbe paventare la possibilità di una successiva ratifica dell’operazione (ex art. 1399 c.c.) tramite l’intervento della prescritta autorizzazione assembleare.

Si tratterebbe, peraltro, di una possibilità da confinare a quei soli casi in cui la concessione di finanziamenti per l’acquisto di azioni proprie in assenza di autorizzazione assembleare si dovesse collocare in contesti del tutto fisiologici e determinati, ad esempio, dalla necessità di procedere con peculiare celerità. Non altrettanto, invece, può immaginarsi in relazione ad ipotesi patologiche come quelle recentemente “sollecitate” dal management di noti istituti bancari al fine di mostrare una capitalizzazione sociale tutt’altro che reale, come di lì a poco sarebbe emerso con il sostanziale azzeramento del valore dei titoli propri venduti.