Non esiste nella normativa italiana un principio di split year a cui ricorrere in caso di trasferimento

Di Gianluca ODETTO

La circolare Assonime n. 24 del 4 agosto 2021, che ha commentato la disciplina fiscale dei trasferimenti di sede inbound e outbound, è tornata ad analizzare la tematica del rapporto tra tale disciplina e i principi dell’ordinamento fiscale nazionale che regolano la residenza fiscale delle società e degli enti.

Come per le persone fisiche, anche per le società l’art. 73 comma 3 del TUIR subordina l’attribuzione della residenza italiana alla sussistenza di uno dei criteri di collegamento con l’Italia (sede legale, sede dell’amministrazione od oggetto sociale) per la maggior parte del periodo d’imposta, non prevedendo quindi il criterio dello split year; né questo criterio viene contemplato, per le persone giuridiche, dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia.

Date queste premesse e considerato che, all’atto del trasferimento della sede, le plusvalenze imponibili si considerano realizzate alla data di chiusura dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia, le situazioni che si prospettano sono le seguenti:
– se il trasferimento avviene nella prima frazione dell’esercizio, la società si considera non residente per tutto l’esercizio considerato, posto che non esisterebbe in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta (il quale non si interrompe) né la sede legale, né quella amministrativa, né l’oggetto sociale;
– se, invece, il trasferimento avviene nella seconda frazione dell’esercizio, la società si considera residente ai fini fiscali in Italia per l’intero esercizio.

Posto che, come detto, le Convenzioni contro le doppie imposizioni regolano la materia solo per l’aspetto sostanziale (il criterio da seguire nei casi di doppia residenza, in genere individuato nella sede di direzione effettiva) e non per l’aspetto temporale, le conseguenze sono quelle per cui:
– nel caso del trasferimento nella prima parte dell’anno, il periodo “ante trasferimento” non sarebbe più soggetto alla potestà impositiva italiana, e potrebbe non essere soggetto neanche a quella dell’altro Stato se la sua legislazione prevede la tassazione solo per i fatti intervenuti dopo il trasferimento;
– nel caso del trasferimento nella seconda parte dell’anno si verifica un fenomeno di doppia imposizione, proprio con riferimento al periodo “post trasferimento”.

L’orientamento della circ. Assonime n. 24/2021, che riprende quello della precedente circ. n. 5/2014, va nel senso per cui, nella prima delle situazioni esaminate, il reddito prodotto dalla società italiana nella prima frazione dell’anno è dichiarato in qualità di reddito prodotto da una stabile organizzazione italiana di una società non residente.

Più critica sarebbe invece la seconda situazione alla luce del principio previsto dalla direttiva 2016/1164/Ue secondo cui il valore di mercato dell’azienda trasferita (tassato in uscita dallo Stato di provenienza) deve essere riconosciuto quale valore di ingresso dallo Stato di destinazione. Posto che, però, per un ipotetico trasferimento avvenuto al 20 luglio 2021, la plusvalenza sarebbe tassata in Italia al 31 dicembre 2021 (art. 166 comma 7 lettera a) del TUIR), mentre lo Stato estero potrebbe assumere quali valori di ingresso quelli al 20 luglio 2021, verrebbe meno in punto di diritto quel carattere di “specularità” che la direttiva prevede.

Il caso del trasferimento outbound nella seconda parte dell’anno è stato oggetto di esame nella risposta a interpello n. 73/2018, in cui l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, se una società con esercizio sociale coincidente con l’anno solare residente in Italia trasferisce in Germania la sede (e, conseguentemente, la residenza fiscale) nella seconda parte del 2018, lasciando in Italia una stabile organizzazione:
– la società si considera residente in Italia ai sensi dell’art. 73 del TUIR per il 2018 unitamente considerato (essa ha, infatti, per la maggior parte del periodo d’imposta in Italia la sede legale e la sede amministrativa);
– la società deve, quindi, presentare la dichiarazione dei redditi in Italia per il 2018 (sempre unitariamente considerato) tenendo conto dei redditi ovunque prodotti e detraendo l’imposta assolta in Germania sui redditi ivi realizzati;
– la dichiarazione viene materialmente presentata dalla stabile organizzazione superstite, la quale mantiene lo stesso codice fiscale della società, nel frattempo cancellatasi dal Registro delle imprese italiano.

Anche la dichiarazione IVA è unitaria ed è presentata dalla S.O. superstite per il 2018 unitariamente considerato con la stessa partita IVA della società trasferitasi all’estero.
La stabile organizzazione eredita dalla società trasferita anche posizioni quali il plafond IVA (risposta interpello Agenzia delle Entrate n. 336/2020).