Spetta alla società socia provare l’interruzione del rapporto da più di un anno

Di Maurizio MEOLI

È configurabile una supersocietà di fatto tra due società di capitali quando il contratto tra le stesse stipulato – configurando un ramo operativo (con la necessaria licenza, ma con debiti rilevanti) e un ramo gestionale neo costituito (senza la necessaria licenza, ma privo di debiti e in grado di ottenere credito dalle banche), con attribuzione in capo a quest’ultimo della gestione di tutti i costi dell’impresa e acquisizione di tutti i ricavi – riveli lo svolgimento di un’unica attività imprenditoriale attraverso una società non formalizzata e irregolare.

In caso di fallimento della società operativa socia della supersocietà di fatto, poi, ai fini dell’estensione del fallimento a quest’ultima e, quindi, all’altra società socia illimitatamente responsabile della stessa occorre considerare i debiti accumulati dalla società fallita successivamente alla costituzione della società di fatto.
Sono queste le indicazioni che emergono dalla sentenza n. 1378 della Corte d’Appello di Firenze del 6 luglio scorso.

Con riguardo al primo profilo, i giudici fiorentini osservano come l’accordo concluso tra le due società di capitali non potesse qualificarsi come appalto di servizi perché la complessiva strutturazione trascendeva tale figura assurgendo a vero e proprio patto tra società socie di una supersocietà di fatto. Situazione manifestata anche all’esterno, dal momento che la fatturazione ai clienti veniva effettuata dalla società operativa (poi fallita) ma con autorizzazione agli stessi a pagare alla società ramo gestionale, che raccoglieva i ricavi e li ripartiva secondo gli accordi.
Il tutto, peraltro, trovava ulteriore conferma nei seguenti elementi: le due società di capitali avevano sede all’interno del medesimo immobile; la società operativa (fallita) non disponeva di un proprio conto corrente; l’amministratore della società operativa veniva retribuito dalla società ramo gestionale.

Quanto al secondo profilo, la decisione in commento ritiene condivisibile l’affermazione secondo la quale, ai fini della dichiarazione di fallimento di una supersocietà di fatto si debba avere riguardo all’indebitamento della società di fatto stessa e non a quello pregresso di una delle società socie.
Si ricorda al riguardo che la Corte di Cassazione ha più volte affermato come, una volta che si sia addivenuti all’individuazione di una supersocietà di fatto di cui sia socia una società fallita resti comunque impossibile dichiarare, di per sé, il fallimento della supersocietà di fatto e, per estensione, dei suoi soci. Ciò non solo perché la sentenza dichiarativa ha natura costitutiva ed efficacia ex nunc (onde non si vede come il fallimento dei soci possa conseguire a una dichiarazione di fallimento meramente virtuale, o implicita, della società), ma anche perché all’insolvenza del socio già dichiarato fallito potrebbe non corrispondere l’insolvenza della supersocietà di fatto, cui gli altri soci potrebbero, in tesi, conferire le liquidità necessarie al pagamento dei debiti (così Cass. n. 10507/2016, nonché Cass. nn. 6030/202112120/2016 e 1095/2016).

Tuttavia, precisa ora la decisione in commento, dal momento che la società di fatto, per sua natura, non è dotata di propria contabilità, per stabilire se esista o meno un suo indebitamento che ne determini il fallimento, occorre considerare se, successivamente alla sua costituzione, risultino debiti iscritti nella contabilità delle società socie e di quale entità essi siano.

Non sono allora i debiti pregressi di una delle società socie della supersocietà di fatto a determinare il fallimento di quest’ultima, ma i debiti accumulati dalla società fallita successivamente alla costituzione della società di fatto a determinare il suo default e, per estensione, il default delle altre società socie.
Ciò era proprio quanto accadeva nel caso di specie, in cui l’indebitamento della società operativa fallita si era notevolmente incrementato successivamente al sorgere della supersocietà di fatto. E tali debiti, per la confusione tra i patrimoni della supersocietà e delle società socie, sono anche propri della società di fatto, che, pertanto, doveva reputarsi insolvente al pari dell’altra società socia.

Un ultimo aspetto affrontato dalla decisione della Corte d’Appello di Firenze attiene all’art. 147 comma 2 del RD 267/1942, ai sensi del quale il fallimento dei soci in estensione non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. Al riguardo viene precisato come non sia il curatore fallimentare a dover dimostrare che l’accordo societario sussiste fino al momento della dichiarazione di fallimento della supersocietà di fatto, ma la società di cui viene chiesto il fallimento in estensione per effetto della società di fatto a dover provare che il rapporto societario si è già sciolto da oltre un anno dal fallimento della società di fatto.