Non si può opporre che una volta stampata la cartella non c’è più

Di Alfio CISSELLO

Il contribuente può venire a conoscenza di carichi pendenti nei suoi confronti in via del tutto eventuale.
L’ipotesi classica si ha quando egli, recandosi presso gli uffici di Agenzia delle Entrate-Riscossione per varie ragioni (ad esempio per domandare la dilazione di una cartella di pagamento notificata) viene a sapere che ci sono altri ruoli a suo nome, inerenti a cartelle o altri atti che egli afferma non essergli stati notificati.

La giurisprudenza, sin dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 2 ottobre 2015 n. 19704, è concorde nell’affermare che, se l’atto davvero non è stato notificato, il contribuente può ricorrere contro il medesimo in occasione dell’estratto di ruolo, onde farne dichiarare la nullità in special modo per intervenuta decadenza.
Tale possibilità non può tramutarsi in un escamotage per ricorrere contro una cartella di pagamento o un accertamento esecutivo che in realtà sono stati notificati, in quanto verrebbero elusi i termini per il ricorso. Perciò, in sede giudiziale è ragionevole attendersi un puntuale vaglio sulla notificazione dell’atto, con esame delle relate o degli avvisi di ricevimento eventualmente prodotti dalla controparte.

A latere delle menzionate questioni, è noto come i funzionari della riscossione sostengano spesso di essere assolutamente impossibilitati a produrre copia della cartella di pagamento. Come se si trattasse di un atto “metafisico”, questa, una volta stampata, sembra quasi svanire nel nulla per lasciare spazio all’estratto di ruolo.

È vero che l’estratto di ruolo comprende gli stessi dati contenuti nella cartella di pagamento, ma è del pari vero che nella cartella compare un dettaglio della situazione debitoria caratterizzato da maggiore analiticità.
Non è cosa da poco, in quanto solo appurando la genesi del credito (se deriva da liquidazione della dichiarazione, oppure da accertamento o da sentenza) il difensore sa in che modo muoversi e cosa consigliare almeno “in prima battuta”.
L’estratto a volte si limita a riportare la tipologia di imposta e l’ente creditore, oltre che pochi altri dati come l’anno cui è riconducibile il debito.

Immaginiamo cosa potrebbe succedere se fosse il contribuente a sostenere, a fronte di una richiesta degli uffici, che un certo documento, una volta formato non si può più stampare, dunque l’Erario si deve accontentare di un estratto che in modo fedele ne riporta i dati essenziali.

Il Consiglio di Stato, nella recente sentenza sez. IV 13 aprile 2021 n. 3048, investito del ricorso derivante da istanza di accesso agli atti amministrativi, respinge nettamente la tesi della Riscossione.
Per i giudici, nel contesto attuale, “la conservazione informatica dei documenti trasmessi consente in ogni momento la produzione di una copia del documento stesso, onde corrispondere alla eventuale richiesta che di esso faccia un soggetto interessato”.

Non si può accettare quanto sostiene l’esattore, ovvero che “non è più in possesso delle cartelle di pagamento, in quanto esse vengono notificate in unico esemplare che viene consegnato al debitore”. “Laddove non sia nemmeno possibile una nuova riproduzione del documento oggetto dell’istanza, l’agente della riscossione dovrà procedere alla ricostituzione del proprio archivio, in coerenza con quanto normativamente previsto (e non rispettato) e, dunque, procedere alla dazione di copia dei documenti all’istante”.
In verità, non c’è bisogno di duplicare la cartella di pagamento, essendo sufficiente che se ne stampi una ulteriore copia, e affermare che ciò non sia possibile davvero non si può comprendere.