È auspicabile un intervento legislativo volto a limitare la revocatoria per atti normali, per non vanificare i benefici concessi dalla norma emergenziale
L’art. 1 comma 266 della legge 30 dicembre 2020 n. 178 (legge di bilancio 2021) ha riscritto l’art. 6 (c.d. norma “emergenziale”) del DL 8 aprile 2020 n. 23, conv. nella legge 5 giugno 2020 n. 40, che, con efficacia dal 9 aprile al 31 dicembre 2020, aveva sospeso gli obblighi di riduzione e ricostituzione del capitale sociale e disattivato la relativa causa di scioglimento delle società.
In sintesi, con la rivisitazione dell’art. 6 del DL 23/2020, l’orizzonte temporale di applicazione della norma “emergenziale” viene prolungato ed il termine utile a neutralizzare le perdite superiori a un terzo del capitale sociale (artt. 2446 e 2482-bis c.c..) si estende fino al quinto esercizio successivo a quello in cui sono emerse le perdite patologiche, disattivando la causa di scioglimento per riduzione del capitale sociale.
Resta doverosa da parte dell’organo amministrativo, sia nella nuova, che nella precedente norma, la convocazione (“senza indugio”) dell’assemblea in caso di perdite “oltre il terzo” del capitale e la predisposizione di una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, su cui l’eventuale organo di controllo deve formulare le proprie osservazioni, da condividere con i soci.
L’organo amministrativo deve, quindi, necessariamente dare evidenza delle perdite oggetto delle nuove disposizioni temporanee e specificare in appositi prospetti la loro origine e le movimentazioni intervenute nell’esercizio, per tenerle distinte da eventuali futuri risultati negativi di esercizio, che non potranno godere del beneficio. L’indicazione delle perdite “sterilizzate” nella nota integrativa risponde al principio della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa (c.d. true and fair view, avente natura di clausola generale, da intendersi come disposizione sovraordinata rispetto alle altre norme, sia in senso interpretativo ed integrativo del sistema, sia quale clausola che, in casi eccezionali, consente deroghe in materia di bilancio), indispensabile a preservare il valore informativo (“quadro fedele”) dei bilanci di esercizio.
Ciò premesso, necessita evidenziare che questa chiara (e necessaria) rappresentazione all’esterno delle perdite, potrebbe avere risvolti indesiderati, che rischiano di vanificare gli obiettivi perseguiti dalla norma emergenziale sopra commentata. Infatti, in ipotesi di successiva (denegata) apertura del fallimento o della liquidazione giudiziale (di cui al DLgs 14/2019, c.d. Codice della crisi, in breve CCII, la cui entrata in vigore è differita al 1° settembre 2021) nei confronti della società, il curatore potrebbe valorizzare l’esposizione in bilancio di perdite che erodono il capitale sociale, al fine di dimostrare la conoscenza da parte dei terzi dello “stato d’insolvenza del debitore” e, dunque, ottenere la revoca dei c.d. “atti normali” compiuti dalla società nei sei mesi anteriori l’apertura del fallimento (art. 67 comma 2 del RD 267/42) o nei sei mesi “dal deposito della domanda cui sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale” (art. 166 comma 2 del CCII).
Infatti, benché il concetto d’insolvenza abbia natura di “irreversibile crisi finanziaria” certamente (in ottica aziendalistica) non correlato alla ratio dell’art. 6 del DL 23/2020 sulla sterilizzazione delle perdite, non è remota la possibilità che i tribunali con una visione “giuridica” della fattispecie si orientino diversamente, ritenendo che la mancata ricapitalizzazione possa costituire elemento presuntivo di conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, con inversione dell’onere probatorio.
In breve, il curatore potrebbe offrire al giudice la prova della scientia decoctionis sulla base di un fatto indiretto – ovvero sull’erosione del capitale per perdite per una società che, in difetto del beneficio concesso dall’art. 6 del DL 23/2020, avrebbe dovuto essere ricapitalizzata o liquidata – ed il convenuto dovrà farsi carico di provare la sua inscientia decoctionis.
Il rischio di subire “agevoli” azioni revocatorie potrebbe, quindi, incidere sul comportamento e sulla disponibilità delle banche (agenti economici qualificati, che possiedono capacità, competenze e mezzi per captare questo tipo di rischio), con irrigidimento nel finanziare tali imprese, isolando le “società con perdite sterilizzate” dall’accesso al credito e, conseguentemente, dal mercato.
Tali considerazioni sembrano suggerire un intervento legislativo volto a limitare, almeno in questa fase, la revocatoria per atti normali, al fine di non vanificare i benefici concessi dall’art. 6 del DL 23/2020 e, così, consentire la continuazione dell’attività da parte di società “sane”, ma sottocapitalizzate a causa della pandemia.