Le contromisure assunte dopo il falso in bilancio salvano i beni della società

Di Maria Francesca ARTUSI

Per il sequestro penale non è sufficiente il fondato sospetto della commissione del reato (fumus commissi delicti), ma è necessario anche il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (periculum in mora).
Su queste basi, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 22317 depositata ieri, ha negato la necessità di un sequestro sul capitale sociale e sui beni costituiti in azienda di una società per azioni, a seguito della contestazione di reati societari e tributari agli amministratori della stessa.

La particolarità del caso di specie attiene al fatto che non viene esclusa la sussistenza degli illeciti, ma solo il presupposto del sequestro costituito dal citato “periculum in mora” (art. 321 c.p.p.).

I fatti in questione riguardavano false comunicazioni sociali ripetute per più annualità (art. 2621 c.c.) e attuate mediante una serie di espedienti, quali la falsa esibizione nei bilanci: di utili di esercizio in luogo di perdita; di miglioramenti nel rapporto di indebitamento; di miglioramenti degli indici che attestano la capacità della società di autofinanziarsi mediante la gestione tipica corrente; del miglioramento del capitale circolante netto (ripetutamente per diversi esercizi).

Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, per abbattere la pressione fiscale generata dalla commissione del reato di falso in bilancio, il management della società aveva utilizzato false fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (così integrando altresì il delitto di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art. 2 del DLgs. 74/2000). Proprio questo era l’anello di congiunzione tra i reati tributari e quelli societari, in quanto l’abbattimento d’imposta si era reso necessario per compensare l’aumento artefatto degli utili.

Nonostante ciò – come sopra accennato – viene esclusa la sussistenza del periculum in mora inerente al sequestro preventivo sul presupposto che l’ultimo reato di falso in bilancio contestato risaliva a un anno e mezzo prima del sequestro e che, prima dell’emissione del provvedimento, la società aveva nominato una società di nota esperienza quale revisore legale dei conti, in sostituzione del Collegio sindacale precedentemente incaricato anche della revisione; erano, inoltre, state corrette le distorsioni contenute nei bilanci pregressi, con approvazione di un nuovo bilancio di esercizio.
La Procura aveva, diversamente, ritenuto la necessità dell’apprensione dei beni sociali nella considerazione che la libera disponibilità dell’azienda avrebbe potuto protrarre le conseguenze dei reati contestati e, soprattutto, agevolare la commissione di altri, non essendo la nomina della società di revisione un sintomo di resipiscenza (in quanto di per sé ciò non impedisce il compimento di reati fiscali).

Viene invece valorizzata dalla Corte di Cassazione la circostanza per cui la società ha fatto il possibile sia per evitare che la falsità dei bilanci pregressi potesse riverberarsi su quelli seguenti, sia per impedire la commissione di nuovi illeciti.
Tale argomentazione fa venire meno le ragioni anche per il sequestro derivante dalla contestazione di dichiarazione fraudolenta in quanto le false fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società erano principalmente un espediente strettamente ed esclusivamente funzionale alla riduzione delle imposte per compensare l’aumento degli utili, falsamente indicati nei bilancio.

La stretta correlazione tra i reati in esame emerge proprio dal fatto che, una volta scoperto l’impiego delle fatture per “ripulire” gli utili dei bilanci, la condotta fiscalmente illecita era sostanzialmente cessata e v’era stata contestualmente una rivisitazione della condotta falsificatoria, volta a far figurare perdite in luogo di utili.
In altri termini, posto il legame di accessorietà del delitto fiscale rispetto alla sistematica falsificazione dei bilanci, una volta cessata tale ultima condotta illecita è giocoforza ritenere che, conseguentemente, sia venuto meno anche il pericolo circa la commissione dei reati fiscali.