A tali fini possono essere presi in considerazione i dati di bilancio, purché attendibili

Di Maurizio MEOLI

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche il bilancio può costituire documento utile ai fini della ricostruzione del patrimonio sociale, purché redatto in linea con le prescrizioni imposte dalla legge e sia, dunque, assistito dal crisma dell’attendibilità.
Ad affermarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 20879/2021.

In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, di quale sia la loro destinazione. Tale onere della prova è giustificato dalla necessità di tutelare il ceto creditorio. Nel senso che, se è l’amministratore a essere responsabile della gestione dei beni sociali e a rispondere nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, solo lui stesso può chiarire quale destinazione effettiva abbiano avuto i beni sociali.

La responsabilità per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità – penalmente sanzionato e gravante, ex art. 87 del RD 267/1942, sull’amministratore interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa – giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine – ad esempio – sufficiente la generica asserzione per cui gli stessi sarebbero stati assorbiti dai costi gestionali, ove non documentati, né precisati nel loro dettagliato ammontare. Quindi, le precise informazioni in ordine alla destinazione del bene non rinvenuto dovrebbero a rigore essere fornite, innanzitutto, nell’ambito della procedura fallimentare in cui incombono sul fallito determinati obblighi e oneri, tra i quali quello di dare indicazioni utili al curatore per la ricostruzione del patrimonio (cfr. Cass. n. 9565/2021).

Siffatto onere dimostrativo, precisa ora la Cassazione, presuppone la prova dell’esistenza dei beni non rinvenuti dagli organi della curatela.
Tale esistenza (e consistenza) può essere desunta, in via indiretta, anche dagli ultimi documenti attendibili, pur risalenti nel tempo, redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili. Occorre, infatti, considerare come il principio che fonda la prova della distrazione di beni sociali sulla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, debba valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento (è riscontrato che) fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilità della medesima sulla scorta degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in tempi distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all’obbligo di tenuta dei libri contabili, in modo integrale o, comunque, attraverso la gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Ciò in quanto la mancata o irregolare tenuta della contabilità non può costituire una circostanza da cui gli amministratori inadempienti possano trarre vantaggio.

Inoltre, al fine di evitare il rischio di inammissibili automatismi ed equazioni dimostrative, l’accertamento della precedente disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non può fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili prevista dall’art. 2710 c.c., dovendo, invece, le risultanze desumibili da questi atti essere valutate – anche nel silenzio del fallito – nella loro intrinseca affidabilità; per cui il giudice dovrà congruamente motivare ove l’attendibilità delle scritture non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo. Questa valutazione di attendibilità – prodromica e necessaria alla previa dimostrazione dell’esistenza di beni non rinvenuti dopo il fallimento – può riguardare anche il bilancio che, seppure non collocabile nel novero delle scritture contabili (tanto da non rilevare ai fini della bancarotta documentale), rappresenta, tuttavia, un documento sociale finalizzato alla comunicazione ai terzi degli esiti dell’attività.

Da questo punto di vista, quindi, vengono in peculiare rilievo: l’art. 2423 comma 2 c.c., in forza del quale il bilancio deve essere redatto secondo i principi di chiarezza e verità (anche alla luce degli IAS), consentendo una rappresentazione trasparente e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio; l’art. 2423-bis comma 1 n. 1 c.c., in forza del quale la valutazione delle voci deve essere formulata secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo preso in considerazione; l’art. 2426 comma 1 n. 9 c.c., che, quanto alle rimanenze, ne richiede l’iscrizione al costo di acquisto o produzione o al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore.