Per la Cassazione, nel caso di consulenze per la partecipazione a gare di appalto, occorre provare che le gare sono attinenti con l’oggetto sociale

Di Silvia LATORRACA

Ai fini della deducibilità, dal reddito d’impresa, delle spese di consulenza per la partecipazione a gare d’appalto, il contribuente, su cui ricade l’onere di provare il requisito di inerenza, non può limitarsi a fornire i relativi documenti di spesa o a dimostrare la contabilizzazione dei costi, ma deve precisare quanto meno la tipologia di gare d’appalto cui si riferiscono le consulenze ricevute e provare che le gare sono attinenti con l’oggetto sociale. Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12380, depositata ieri, 11 maggio 2021.

Il caso di specie attiene a spese sostenute da un’impresa per prestazioni rese da un avvocato e dal commercialista, che erano state recuperate a tassazione dall’ufficio perché considerate non inerenti.
La Commissione tributaria regionale aveva annullato la ripresa a tassazione, da parte dell’ufficio, sulla base delle fatture emesse dai professionisti, che erano state prodotte in causa dal contribuente. I giudici di merito avevano, in sostanza, ritenuto deducibili i costi sulla sola base della produzione documentale, dandone, evidentemente, per implicita l’inerenza.
La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’ufficio (che lamentava l’assenza di verifica del requisito dell’inerenza) e cassato la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria.

I giudici hanno evidenziato che, anche nell’accezione più ampia del concetto di inerenza, cioè come riferita all’attività di impresa in generale e non ai ricavi, grava sul contribuente l’onere di provare e documentare non solo l’imponibile maturato, e dunque l’esistenza e la natura del costo, nonché i relativi fatti giustificativi, ma anche la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa (Cass. n. 30366/2019).

In base a questo principio, può ritenersi che, nel caso di specie, la società abbia provato l’esistenza e la natura del costo, nonché il suo importo.
Quanto alla prova della correlazione con l’attività di impresa, il difensore della società (che è lo stesso avvocato che ha emesso le fatture in esame) ha affermato che la fatture sono state da lui emesse per attività svolte in favore della contribuente per attività di impresa. Il controricorso ha precisato che si trattava di consulenze per la possibile partecipazione a gare d’appalto; in altri termini, l’avvocato ed il commercialista avrebbero visionato documentazione per valutare la partecipazione della società a gare d’appalto. Le fatture riportavano, infatti, come oggetto “consulenza per gare d’appalto”.

Secondo i giudici di legittimità, è vero che, quando si tratta di costi che hanno chiaro rapporto con l’attività di impresa, l’assolvimento dell’onere della prova a carico del contribuente può ritenersi semplificato, in quanto, a fronte degli elementi di fatto addotti dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria può contestarne soltanto la carenza o insufficienza ovvero addurre l’esistenza di circostanze di fatto idonee, in concreto, ad inficiare gli stessi (Cass. n. 33504/2018).
Tuttavia, tale principio non è sufficiente per ritenere che, nel caso di specie, l’inerenza sia stata provata.

La Suprema Corte ha, infatti, anche affermato (Cass. n. 11241/2017) che, con riguardo al reddito d’impresa, la semplice produzione di documenti di spesa (nella specie, “note spese” liquidate da una società ai propri dipendenti) non prova, di per sé, la sussistenza del requisito dell’inerenza all’attività di impresa. A tal riguardo, infatti, perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa.

Riportando questo principio al caso concreto, il contribuente avrebbe allora dovuto provare quanto meno a quale tipologia di gare d’appalto si riferivano le consulenze ricevute e, quindi, le fatture ed, in particolare, se le stesse erano attinenti con l’oggetto sociale. In teoria, infatti, il costo in questione avrebbe potuto riferirsi a gare d’appalto in settori completamente diversi da quelli dell’attività dell’impresa.

La Cassazione ha concluso che tale principio non era stato applicato correttamente dalla Commissione tributaria regionale, che sul punto non aveva compiuto alcuna valutazione esplicita.