Possono configurarsi tutti i presupposti per renderla inefficace verso il creditore del socio

Di Maurizio MEOLI

Anche la delibera assembleare di una società può essere oggetto di azione revocatoria ex art. 2901 c.c.
Ad affermarlo è il Tribunale di Torino, nella sentenza n. 3867 del 5 novembre scorso.
I presupposti dell’azione revocatoria sono: il credito del revocante; il pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni); la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (c.d. scientia damni); la conoscenza del pregiudizio anche da parte del terzo, se l’atto è a titolo oneroso; la dolosa preordinazione se il compimento dell’atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito (c.d. consilium fraudis).

Nel caso di specie, Tizio non pagava le spese condominiali (per oltre 150.000 euro) di due immobili di proprietà in cui conduceva un’attività commerciale, nella quale collaborava la figlia Caia, e subiva l’azione esecutiva immobiliare del condominio. Dal momento che Tizio era anche socio unico e amministratore di una srl proprietaria di altro immobile e di ulteriori beni per un valore complessivo superiore a 500.000 euro, il condominio richiedeva, altresì, il pignoramento della quota totalitaria. Prima che la procedura di pignoramento si completasse, peraltro, Tizio convocava un’assemblea straordinaria della srl e, dopo averne approvato il bilancio infrannuale, deliberava di coprire le perdite che avevano condotto il patrimonio netto in territorio negativo secondo le seguenti modalità: ricorrendo a riserve e versamenti in conto capitale fino ad azzerare le perdite e, quanto alla ricostituzione del capitale minimo, mediante un corrispondente aumento offerto a sé stesso, quale socio unico, che, contestualmente, vi rinunciava, consentendo la sottoscrizione e il versamento alla figlia Caia. La delibera, inoltre, veniva depositata al Registro delle imprese nel corso della medesima giornata.

Secondo il Tribunale di Torino, in tale operatività sono ravvisabili tutti i presupposti per accogliere l’azione revocatoria e dichiarare l’inefficacia della delibera assembleare.
Innanzitutto, è provata l’esistenza del credito del condominio verso l’autore dell’atto revocando anteriormente al compimento dello stesso.
Sussiste, inoltre, l’eventus damni, quale pericolo attuale e concreto che i beni del debitore diventino insufficienti (o ancora più insufficienti) a soddisfare le ragioni del revocante. Pregiudizio da ravvisare anche nella maggiore difficoltà di espropriazione; da intendersi come difficoltà giuridica, che renda incerta l’espropriazione o notevolmente più lunga la procedura. L’intera operazione trasfusa nell’atto revocando (la delibera assembleare) comportava, come risultato finale, il transito dell’intero capitale sociale della srl da Tizio a Caia. Rispetto a ciò non conta che la revocatoria non abbia come oggetto diretto il trasferimento della quota ma una delibera societaria, essendo rilevante il risultato che è stato conseguito, vale a dire l’uscita dal patrimonio di Tizio di quel rilevante asset.

E in tale contesto, non è neanche la rinuncia alla sottoscrizione dell’aumento da parte di Tizio a dover essere considerata come autonomo atto dispositivo aggredibile con azione revocatoria – come richiesto da Caia – perché si presenta solo come mera fase di una più complessa operazione. Del resto, impugnare la rinuncia non avrebbe prodotto, di per sé, un risultato utile, atteso che, per far rientrare la quota nel patrimonio di Tizio, sarebbe stato necessario il successivo passaggio della sottoscrizione, ormai non più operabile in quanto effettuata da Caia.

È configurabile, poi, anche la scientia damni, ovvero la consapevolezza da parte del debitore di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni del creditore. Rispetto a essa non è necessario che il debitore abbia avuto di mira il creditore revocante, essendo sufficiente la previsione dell’insolvenza, la quale colpisce normalmente tutti i creditori. La prova della conoscenza del danno da parte del debitore, quale presupposto dell’azione, è a carico del revocante; peraltro, trattandosi di uno stato soggettivo, la stessa può essere data attraverso presunzioni. In particolare, è sufficiente provare l’entità del patrimonio e dei debiti quali circostanze obiettive normalmente conosciute da chi gestisce i propri affari o agisce quale amministratore. E, quindi, anche tale condizione è ravvisata nella complessiva anomalia del caso di specie.

È ritenuta esistente, infine, anche la condizione, richiesta in presenza di atti a titolo oneroso, della consapevolezza da parte del terzo (ovvero di chi è parte sostanziale dell’atto del debitore o suo destinatario) del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (consilium fraudis); condizione che, come la precedente, è il creditore che agisce in revocatoria a dover provare, anche tramite presunzioni. Anche a voler escludere la sostanziale gratuità dell’operazione posta in essere, osserva il Tribunale di Torino, è da ravvisare tale presupposto in capo a Caia in ragione dello stretto vincolo di parentela tra Tizio e Caia, per l’anomalia complessiva dell’operazione, con deposito istantaneo al Registro delle imprese, e per il fatto che Caia, collaborando nell’attività commerciale del padre, non poteva non conoscere le relative criticità economiche.