La norma di comportamento AIDC n. 211 ribadisce che tutti gli altri utilizzi non determinano alcun presupposto d’imposta

Di Gianluca ODETTO

Secondo la norma di comportamento AIDC n. 211, le riserve in sospensione d’imposta “tassabili in caso di distribuzione”, o “del secondo gruppo”, tra cui quelle di rivalutazione, sono soggette ad imposizione solo e unicamente se attribuite ai soci. L’utilizzo di tali riserve in qualunque ipotesi diversa dalla attribuzione ai soci non comporta, invece, l’emersione di reddito imponibile, né in capo alla società né in capo ai soci.

La norma di comportamento evidenzia che lo stesso legislatore, nella formulazione dell’art. 13 comma 3 della L. 342/2000, ha individuato il presupposto impositivo nella distribuzione della riserva di rivalutazione in sospensione di imposta (è tale la riserva costituita a fronte della rivalutazione “fiscale”, con assolvimento di imposta sostitutiva), ovvero nella riduzione del capitale sociale in precedenza aumentato a titolo gratuito con utilizzo di tale riserva.

La ratio della disposizione è individuabile nella necessità che lo stato di sospensione d’imposta permanga fino a quando i maggiori valori iscritti in bilancio rimangono nel patrimonio dell’impresa, o vengono utilizzati nell’interesse dell’impresa (cosa che accade, tipicamente, nel caso di copertura di perdite di esercizio), e cessi ove essi fuoriescano dal patrimonio dell’impresa per entrare nella disponibilità dei soci.

Diversamente, l’art. 13 comma 2 della stessa L. 342/2000 prevede che, in caso di riduzione della riserva, occorre osservare le disposizioni dell’art. 2445 commi 2 e 3 c.c., e che, in caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria (non applicandosi in questo caso le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445).

Ciò posto, la norma di comportamento n. 211 precisa che, mentre l’art. 13 comma 2 della L. 342/2000 trova applicazione in qualunque caso di riduzione del saldo attivo di rivalutazione, l’art. 13 comma 3 riguarda il solo caso di riduzione dovuta alla distribuzione della riserva ai soci.

Conseguentemente, ogni riduzione della riserva di rivalutazione in sospensione d’imposta per ipotesi diverse è disciplinata solo dal secondo comma dell’art. 13, e non dal terzo, con conseguente irrilevanza ai fini della fiscalità sia della società, sia dei soci.

Tra gli utilizzi che non dovrebbero comportare alcuna conseguenza reddituale figura, quindi, la riduzione o l’annullamento del saldo attivo di rivalutazione per eliminare un disavanzo di fusione non imputabile a maggior valore delle attività o ad avviamento.

Risulterebbe conseguentemente erronea l’impostazione contenuta nella risposta a interpello n. 316/2019, nella quale l’Agenzia delle Entrate ha invece ritenuto imponibile l’utilizzo del saldo di rivalutazione nella ipotesi in cui esso sia andato a copertura del disavanzo di annullamento non imputato (per assenza dei presupposti) né ai beni dell’attivo, né ad avviamento.

Pur se ciò non è esplicitato dalla norma di comportamento n. 211, motivazioni a sostegno della non imponibilità dell’utilizzo a copertura della perdita da fusione si rinvengono ripercorrendo la “storia” dell’operazione che ha dato origine alla risposta dell’Agenzia.

Il disavanzo in questione trovava, infatti, la sua origine in svalutazioni non effettuate della partecipazione nella società incorporata: se le stesse svalutazioni fossero state effettuate, la società incorporante avrebbe chiuso con perdite di esercizio, con un legittimo utilizzo – a questo punto indubitabilmente non tassato – del saldo attivo di rivalutazione, per la loro copertura.