Ma è necessario considerare la somma conferita dagli amministratori per «coprire» un’attività illecita

Di Maurizio MEOLI

La Corte d’appello di Venezia, nella sentenza n. 49/2019, solo recentemente edita, si sofferma su profili di sicuro interesse attinenti alla responsabilità degli amministratori di società di capitali in caso di accesso a un concordato preventivo.

Si osserva, innanzitutto, come l’azione individuale ex artt. 2395 e 2476 comma 7 c.c. sia un rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione posta in essere dall’amministratore con dolo o colpa grave colpisca in via immediata e diretta un diritto soggettivo del terzo, ossia quando la lesione della sfera giuridico-patrimoniale del terzo sia in rapporto causale diretto con la condotta del soggetto agente. Non rileva a tali fini il comportamento degli amministratori che abbiano proseguito l’attività sociale nonostante l’erosione del capitale sociale; comportamento che costituisce violazione di norme poste a tutela della conservazione del patrimonio della società e che solo di riflesso incide sulla sfera giuridica dei creditori sociali.

L’azione ex artt. 2394 e 2476 comma 6 c.c., invece, è un rimedio previsto al fine di rafforzare la tutela dei creditori qualora, per l’inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, questo risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Essa si colloca al di fuori di un vincolo obbligatorio diretto tra i creditori e gli amministratori, configurandosi, pertanto, come azione extracontrattuale, e si pone come rimedio del tutto indipendente e autonomo rispetto alla corrispondente azione sociale; con esclusione, quindi, dell’attribuzione di una valenza surrogatoria rispetto a questa.
Tale azione resta esperibile dopo l’omologazione del concordato preventivo. L’omologazione di un concordato preventivo, infatti, non estingue i crediti nella parte falcidiata, ma rende solo inesigibile il credito per la porzione eccedente la percentuale di soddisfacimento prevista nel piano senza determinare alcuna estinzione.

Inoltre, l’azione dei creditori verso gli amministratori ha carattere autonomo e finalità di integrazione della garanzia patrimoniale in quanto rivolta a un soggetto terzo rispetto alla società debitrice con cui vige il c.d. pactum de non petendo; né contrarie indicazioni possono trarsi dall’art. 184 del RD 267/1942, ai sensi del quale, “il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”. Gli amministratori, infatti, non possono essere parificati né ai coobbligati né ai soci illimitatamente responsabili, rispetto ai quali la valutazione da parte dei creditori della convenienza del concordato, rispetto alla alternativa fallimentare, passa anche attraverso l’esame dei loro patrimoni.

Pertanto, il patto di concordato produce i suoi effetti in relazione al patrimonio dell’impresa, e non rispetto al patrimonio di un terzo, qual è l’amministratore, dovendosi anche tenere conto che, diversamente, la presentazione di una domanda di ammissione a tale procedura potrebbe diventare uno strumento opportunistico per evitare responsabilità in caso di mala gestio.

La natura autonoma dell’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c., peraltro, comporta che l’esito favorevole di essa possa giovare unicamente al creditore attore; ma l’individuazione del danno subito da quest’ultimo va proporzionalmente ricavato dal danno complessivo alla società, costituente il limite risarcitorio di cui l’amministratore può essere chiamato a rispondere data la natura riflessa del danno stesso. Vale a dire che occorre verificare l’entità del danno ingiusto complessivamente provocato a tutti i creditori, ad esempio, come nella specie, dalla illecita prosecuzione dell’attività sociale, e determinare poi l’incidenza proporzionale di detto danno sulla posizione del singolo attore.

E, quindi, ove gli amministratori abbiano versato al concordato una somma tesa a bilanciare l’esito di una azione di responsabilità per aver continuato a svolgere l’attività di impresa pur in presenza della causa di scioglimento rappresentata dalla riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (con parere favorevole del Commissario giudiziale), il creditore attore dovrebbe provare l’eventuale maggiore ammontare della perdita incrementale (tenendo conto che solo le operazioni non coerenti con il fine conservativo potevano essere imputate alla condotta antigiuridica dell’organo gestorio).

Diversamente, stante la natura autonoma, e non surrogatoria, dell’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c., il danno liquidabile al creditore sociale resta proporzionale al già determinato danno complessivo subito dalla società. Cosicché, in mancanza della prova di uno specifico maggior danno subito dal singolo creditore, i versamenti in denaro effettuati dagli amministratori alla società in esecuzione del piano concordatario omologato azzerano il pregiudizio risarcibile ai creditori, vincolati al piano medesimo.