Le istanze dovrebbero essere motivate con riferimento alla crisi di questi tempi

Di Alfio CISSELLO e Carlo NOCERA

Con la campagna accertativa 2021 alle porte e la perdurante crisi di liquidità del sistema economico nazionale, la riscossione provvisoria del terzo delle maggiori imposte accertate in pendenza di giudizio può rappresentare il colpo di grazia per quei contribuenti che dovessero essere raggiunti nel prossimo futuro da un atto impositivo.
Nella deprecabile ipotesi in cui il legislatore non intendesse modificare l’art. 15 del DPR n. 602/1973 (si veda “Riscossione provvisoria da sospendere per gli accertamenti 2021” del 10 aprile), al contribuente non resta che affidarsi all’istanza di sospensione di cui all’art. 47 del DLgs. 546/1992.

Questo affidamento, salvo che le cose non cambino proprio in ragione dell’emergenza, si rivela però mal riposto. Lasciando che a parlare siano i numeri, si evidenzia che l’ultima “Relazione sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie – Anno 2020”, edita dalla Direzione della Giustizia tributaria del MEF, dimostra che le istanze di sospensione presentate nel ricorso di primo grado hanno uno scarso appeal nei confronti dei giudici tributari provinciali.

I dati dell’attività processuale del 2019 sono spietati, in quanto delle 63.592 istanze di sospensione presentate su scala nazionale le Commissioni tributarie ne hanno decise soltanto 25.044: come dire, insomma, che 38.548 istanze – pari al 60,61% – non sono state nemmeno prese in considerazione dai giudici.
Inoltre, delle 25.044 decise ne sono state accolte soltanto 10.575, pari al 42,23%: ma se confrontiamo il dato delle istanze accolte con quelle presentate, ne viene fuori che la sospensione viene concessa nel 16,6% dei casi.
Il dato sarebbe ancora più traumatico se si scendesse nel dettaglio, atteso che ci sono Commissioni dove a fronte di migliaia di istanze presentate ne vengono “decise” poche decine o, nel migliore dei casi, qualche centinaio.

A completare questo scenario drammatico per il contribuente ci pensa il tempo medio su scala nazionale per la decisione dell’istanza, pari a 150 giorni dall’avvenuta presentazione, con ben 17 Commissioni che superano abbondantemente questa tempistica: che per il contribuente vuole dire, in pratica, vedersi “consumare” i 180 giorni di blocco delle azioni esecutive che decorrono dall’affidamento del carico all’agente della riscossione.

Trasportando il discorso sul piano tecnico, è opportuno che, in questo contesto caratterizzato da situazioni emergenziali, le domande di sospensiva, con particolare riferimento al periculum in mora, siano motivate con riferimento all’impossibilità di pagare il debito, a causa della mancanza di liquidità, in ottica anche futura.
È bene evitare di focalizzare l’attenzione solo su elementi quali lo scoperto di conto corrente, i potenziali e deleteri effetti di misure cautelari e simili.
Unitamente a quanto appena esposto, più l’attività del contribuente è incisa dalle restrizioni in atto, più il giudice potrebbe essere propenso ad accogliere la domanda.

Il caso classico potrebbe essere il settore del turismo, ma non solo: si pensi all’attività di ristorazione, al noleggio auto e a tutte quelle attività che, direttamente o indirettamente, hanno subito, subiscono e subiranno ancora cali del fatturato, se non sostanziali azzeramenti.

Dimostrando che, grossomodo dal marzo 2020, c’è stato un reale calo del fatturato, o meglio, un consistente calo delle entrate, calo che con ogni probabilità è destinato a permanere, è possibile sollecitare l’ottenimento della sospensiva in ragione dell’impossibilità di pagare il debito intimato con l’atto impugnato.
Debito che, non bisogna mai dimenticarlo, ben potrebbe rivelarsi completamente infondato all’esito del processo.