La pericolosità sociale consente di irrogare la misura di prevenzione patrimoniale

Di Maria Francesca ARTUSI

Dalla contestazione del reato di dichiarazione infedele può derivare anche una confisca di prevenzione ai sensi del DLgs. 159/2011.
Le misure di prevenzione patrimoniali nascono, infatti, con lo scopo di prevenire le diverse forme di criminalità da profitto, con particolare riguardo alla criminalità mafiosa, economica e connessa alla corruzione e seguono un iter procedurale parallelo. Presupposto comune, alla luce dell’art. 1 del DLgs. 159/2011, è la pericolosità sociale: il riferimento normativo “generico” a tipologie di attività delittuose o di traffici delittuosi consente di irrogare la misura a soggetti ritenuti “pericolosi”, qualunque sia l’attività illecita con cui si manifesta tale pericolosità, inclusa l’evasione fiscale.

Nel procedimento affrontato dalla Cassazione nella sentenza n. 14857, depositata ieri, i delitti a sostegno della ritenuta pericolosità sociale erano riconducibili all’alveo dell’art. 4 del DLgs. 74/2000, il quale contempla l’ipotesi della dichiarazione infedele, imputata all’amministratore di alcune società. Gli elementi probatori sono stati ricavati dalla contabilità segreta e alternativa a quella ufficiale riscontrata nel corso delle indagini, dalle quali è emersa una omessa annotazione formale degli incassi operati dalle aziende facenti capo alle tre società interessate per gli anni 2010, 2011 e 2012; contabilizzazione alternativa che ha consentito di accertare evasioni di imposta, per IRES e IVA, con superamento delle soglie di punibilità legate alla fattispecie incriminatrice.

Vero è che secondo la giurisprudenza (per tutte Cass. n. 53003/2017), siffatta ipotesi delittuosa, a differenza di quelle connotate da un agire fraudolento (previste dagli artt. 2 e 3 dello stesso DLgs. 74/2000), viene in risalto perché il reddito prodotto dall’autore del reato è e rimane di origine lecita, mentre è l’autoliquidazione delle imposte ad essere infedele. Ma questa considerazione, a ben vedere, lascia immutato il disvalore illecito comunque sotteso all’accumulazione garantita dalla evasione di imposta realizzata oltre le soglie di punibilità, strumentale al rilevato giudizio di pericolosità sotto il versante della lettera b) dell’art. 1 del DLgs. 159/2011.

Parimenti, l’accertamento con adesione evocato dalle difese, sempre in linea di principio, lascia inalterato l’illecito penale sintomatico della pericolosità sociale: il recupero di imposta che garantisce, neutralizza solo ex post, e tardivamente, l’accumulazione patrimoniale illecita in origine favorita dall’evasione, destinata a fotografare, in termini non più reversibili, una abitudine al sostentamento economico, laddove riscontrata in termini di decisiva sensibilità, legata alla riscontrata azione illecita.

In proposito le motivazioni precisano che, per giungere alla valutazione di pericolosità che sta a monte della confisca, assume rilevanza essenziale la materiale riferibilità al soggetto in questione dei proventi illeciti derivanti dalla evasione fiscale penalmente sanzionata attraverso una diretta ed esclusiva ascrivibilità delle società in questione al soggetto persona fisica.

Per ritenerlo socialmente pericoloso, dunque, è stato attribuito all’imputato l’intero portato della evasione fiscale realizzata dalle società, cosi da consentirgli di improntare il proprio regime di vita in ragione di tale indebita capitalizzazione.
Viene altresì ricordato, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, che sono suscettibili di confisca soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (Cass. SS.UU. n. 4880/2015). La correlazione temporale tra la pericolosità sociale e la realizzazione degli investimenti sostanziatisi nelle utilità da ablare costituisce, infatti, la cifra indispensabile per la tenuta costituzionale, sul piano della ragionevolezza e della proporzione, della confisca di prevenzione, come confermato da ultimo anche dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 24/2019.

Quanto alla legittimazione dell’impugnazione del provvedimento di confisca da parte del terzo, occorre guardare al ruolo che lo stesso assume all’interno del procedimento di prevenzione: pur non essendo lo stesso gravato da alcun onere probatorio, il terzo ha, tuttavia un onere di allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria (secondo la quale egli è un mero intestatario formale) ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua esclusiva proprietà e nella sua esclusiva disponibilità. Il nucleo del contendere che involge la posizione del terzo, dunque, attiene unicamente al profilo della disponibilità del bene ablato.

Si noti come la Cassazione in realtà concluda con un annullamento con rinvio della confisca di prevenzione in quanto, nel caso di specie, appare necessario meglio delineare l’oggetto del profitto confiscabile, tra quanto nella effettiva disponibilità dell’imputato e quanto fa capo alle casse sociali.