Contano le risultanze del Registro delle imprese

Di Maurizio MEOLI

Tra le molteplici forme che può assumere un piano di incentivazione teso a fidelizzare amministratori e dirigenti di una società si pone anche quello connotato dalla costituzione di una società che gestisce un pacchetto di azioni della società in questione. In pratica, ai soggetti da fidelizzare non si assegnano azioni della società in cui prestano la propria attività, ma partecipazioni di minoranza nella società che gestisce un pacchetto di azioni della prima.

Ogni qual volta un partecipante al piano, socio della società di gestione, cessi di prestare la propria attività, si attiva un meccanismo teso a ripartire la partecipazione tra gli ulteriori soci (amministratori e dirigenti), secondo uno schema che ricalca l’operatività delle diffuse clausole di prelazione (comunicazione a tutti i soci della cessazione del rapporto; dichiarazione degli interessati di volere acquistare pro quota, nonché la parte che altri soci non volessero acquistare; indicazione ai soci richiedenti della quota che in concreto viene loro riconosciuta; fissazione della data e dell’ora dell’atto di trasferimento alle condizioni economiche preventivamente fissate).

Proprio questo è lo scenario che fa da sfondo alla questione pervenuta all’esame del Tribunale di Torino, dal momento che, alla data fissata per provvedere al trasferimento della partecipazione nella srl di gestione, alcuni ex dirigenti, che avrebbero dovuto cedere la propria partecipazione nella srl stessa, non si presentavano. Nella successiva assemblea della srl di gestione, quindi, si poneva il problema dell’assegnazione degli utili che si era deciso di distribuire e che risultavano rivendicati sia dagli ex dirigenti che dai soci che avevano dichiarato di voler subentrare a essi, e che avevano anche iscritto al Registro delle imprese la domanda giudiziale avente a oggetto la rivendicazione della titolarità delle quote.

La srl di gestione, nel timore di pagare soggetti non creditori, con il rischio di essere tenuta a un secondo pagamento, deliberava di accantonare il relativo importo in un conto corrente dedicato, in attesa della risoluzione della questione.
Gli ex dirigenti, allora, chiedevano l’annullamento di tale ultima delibera e la condanna al pagamento dei dividendi a loro favore, nonché la sospensione della delibera stessa al fine di rendere esigibile il rispettivo diritto al dividendo sulla base della precedente delibera di distribuzione, valida per tutti i soci.

Il Tribunale di Torino, con provvedimento del 26 giugno 2020, accoglie la richiesta di sospensione sottolineando, in primo luogo, l’esistenza di un dato “ineludibile”: l’art. 2470 c.c., al fine di assicurare certezza e stabilità ai processi interni alla srl, fa leva su un indice segnaletico di tipo formale, come l’iscrizione al Registro delle imprese, per l’individuazione del titolare dei diritti nei confronti della società, senza che tale qualità possa essere contestata dagli organi sociali relativamente a vicende di invalidità riguardanti i rapporti tra cedente e cessionario della partecipazione (cfr. Trib. Milano 5 febbraio 2018 e Trib. Milano 5 dicembre 2017).

A fronte di ciò, all’iscrizione nel Registro delle imprese (atipica e non univocamente ammessa) della domanda giudiziale avente a oggetto la rivendicazione della titolarità delle quote non può riconoscersi alcun effetto giuridico ai sensi dell’art. 2470 c.c., se non puramente “notiziale”, mentre l’esercizio dell’opzione da parte degli altri soci interessati della società di gestione perfeziona inter partes un contratto preparatorio alla conclusione del trasferimento per il tramite di un apposito atto o di una sentenza costitutiva passata in giudicato; fino a quando uno di tali eventi non si verifichi, il socio iscritto conserva i suoi diritti.

L’esercizio dell’opzione di acquisto delle quote non è, peraltro, giuridicamente irrilevante. Esso, infatti, può presentare l’effetto di trasferire inter partes la titolarità della quota, salva riproduzione del consenso nell’atto di trasferimento; con la conseguenza che il socio uscente è tenuto a riversare all’acquirente il dividendo che ha ricevuto in data successiva alla dichiarazione, per aver mantenuto formalmente l’iscrizione della quota a proprio nome. Oppure potrebbe avere effetti esclusivamente obbligatori; con la conseguenza che il socio uscente, che abbia mancato di prestare il consenso al trasferimento della quota, è tenuto a risarcire all’acquirente il danno da ritardo nell’adempimento.

Si tratta, tuttavia, di effetti che riguardano il regolamento dare-avere della vendita della quota e che interessano soltanto socio uscente e acquirente, senza offrire spunti per stabilire chi, tra essi, abbia diritto a incassare il dividendo: questione di legittimazione che deve risolversi sul piano dell’organizzazione societaria e della ricognizione della qualità di socio alla luce delle risultanze del Registro delle imprese.

In conclusione, osserva il giudice torinese, la persistente legittimazione del socio iscritto a esercitare i diritti e a incassare il dividendo non comporta un suo ingiustificato arricchimento, né impoverisce il socio pretendente che ha esercitato l’opzione e non ha ancora ottenuto il trasferimento, ma comporta semplicemente che i due regolino i loro rapporti “in quanto privati e non in quanto soci”, senza che la società sia coinvolta.