Può essere disposto dal tribunale concorsuale, che nomina un amministratore giudiziario con funzioni protettive

Di Saverio MANCINELLI

L’art. 15 comma 8 del RD 267/42 consente al tribunale, durante la fase prefallimentare e nelle more dell’accertamento dei presupposti, di emettere eventuali provvedimenti cautelari e conservativi utili alla tutela del patrimonio del debitore o alla salvaguardia dell’impresa insolvente. Tali provvedimenti, emessi su istanza di parte, hanno efficacia limitata nel tempo, dovendo essere confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.

Poiché la tutela riguarda sia il patrimonio del debitore, sia l’impresa condotta dallo stesso, il tribunale può adottare la misura cautelare del sequestro giudiziario dell’azienda, conferendo ad un custode i poteri di amministrazione. Il custode giudiziario (analogamente a quanto previsto per il curatore provvisorio tedesco e per l’administrator della procedura anglosassone di administration) viene posto nelle condizioni di gestire l’impresa insolvente, non solo in funzione protettiva, ma anche con facoltà di governare la crisi con gli strumenti dell’autonomia negoziale.

Il DLgs n. 14/2019 (Codice della crisi, c.d. CCII, la cui entrata in vigore è stata differita al 1° settembre 2021) governa un “procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza”; conseguentemente, eventuali misure cautelari e protettive possono essere emesse dal tribunale oltre che nel corso del procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, anche in quello indirizzato all’accesso al concordato preventivo o all’omologazione degli accordi di ristrutturazione (art. 54 del CCII).

Volendo tracciare i lineamenti dei provvedimenti cautelari o conservativi concessi al tribunale concorsuale, si evidenzia che:
– possono essere emessi solo su impulso di parte, quindi devono essere appositamente chiesti mediante istanza di un creditore o del Pubblico Ministero;
– sono di competenza del collegio (e non del giudice relatore) e possono essere resi anche inaudita altera parte, in quanto riconducibili, per i presupposti della loro emanazione, ai provvedimenti cautelari di natura atipica regolati dall’art. 700 c.p.c., ovvero fondati sui requisiti del fumus boni iuris (verosimile fondatezza della domanda, in base agli elementi di diritto e di fatto che vengono rappresentati) e del periculum in mora (possibilità di lesione della par condicio creditorum, nel tempo necessario ad istruire la richiesta di fallimento e giungere all’emissione della sentenza);
– possono avere il contenuto più vario, che il tribunale modula in base alle esigenze. Pertanto, variano dal sequestro conservativo dei beni o dell’azienda, alla sostituzione dell’imprenditore con un amministratore di tipo giudiziale o a provvedimenti meno invasivi, come l’affiancamento dell’imprenditore con un custode, cui deve essere sottoposta l’eventuale ratifica di ogni decisione di straordinaria amministrazione. Infine, possono anche consistere nella semplice inibizione nel compiere atti ben specificati e/o svolgere talune attività, sino a comportare la necessità per l’imprenditore di essere autorizzato dal tribunale al fine di poter eseguire (in generale) gli atti di straordinaria amministrazione;
– non sono reclamabili autonomamente (pur potendosi chiedere la revoca con l’appello avverso la sentenza dichiarativa di fallimento), nella considerazione che la loro efficacia interinale è limitata alla durata dell’istruttoria prefallimentare, certamente ridotta rispetto a quella di un giudizio ordinario;
– il provvedimento emanato è privo dei caratteri di decisorietà e definitività, che legittimano il ricorso presso la Suprema Corte;
– non possono comportare la sospensione di eventuali procedure esecutive individuali in corso nei confronti del debitore, perché determinerebbero l’introduzione in via anticipata di un effetto tipico della sentenza dichiarativa di fallimento, quale l’improcedibilità delle azioni esecutive individuali. Tuttavia il tribunale potrebbe adottare una misura cautelare parzialmente diversa, come, ad esempio, quella del provvedimento che contenga l’ordine ai creditori procedenti di costituire “conti correnti dedicati” su cui depositare le somme e la possibilità di disporne solo previa autorizzazione del tribunale (Trib. Milano, Sez. II, decreto 25 marzo 2010).

Ulteriori considerazioni merita il compenso degli amministratori giudiziari nominati ex art. 15, comma 8 del RD 267/42, che è prededucibile nel conseguente fallimento, ma va insinuato nelle forme previste per l’accertamento del passivo, non potendo essere adottata la procedura “semplificata” prevista per i crediti dei professionisti liquidati ex art. 25 del RD 267/42 (Cass. 15 luglio 2016 n. 14536).