Da analizzare tutti gli elementi costitutivi, seppur riferendosi a un confronto fra fatti materiali

Di Maria Francesca ARTUSI

Per il riconoscimento del divieto del “ne bis in idem”, va condotto un accertamento rigoroso e “in concreto” riguardo all’eventuale identità del fatto (“idem”) delle condotte contestate.
Nel caso affrontato dalla sentenza n. 13476 della Corte di Cassazione, depositata ieri, il legale rappresentante di una srl era stato condannato dalla Corte d’Appello per essersi avvalso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da altra srl, indicando nelle prescritte dichiarazioni annuali, elementi passivi fittizi al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto (art. 2 del DLgs. 74/2000).

Tale soggetto, tuttavia, contestava la circostanza per cui su questi fatti vi era già stato un decreto di archiviazione relativo ad un precedente procedimento.
I giudici di legittimità argomentano in proposito che il divieto di “bis in idem”, che rinviene la propria matrice normativa nell’art. 649 c.p.p., preclude la celebrazione di un secondo giudizio a carico di taluno per un fatto in ordine al quale egli sia già stato giudicato, anche se esso viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, “ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona” (Cass. SS.UU. n. 34655/2005).

Tale ricostruzione è stata ribadita ed ulteriormente verificata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 200/2016), che ha analizzato la relazione tra la nozione di medesimo fatto valevole per il diritto nazionale e quella che risulta assunto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed ha escluso che la giurisprudenza europea abbia attribuito all’“idem factum” lineamenti che escludano il nesso causale e l’evento. In particolare, è stato chiarito che la Convenzione europea impone agli Stati membri di applicare il divieto di “bis in idem” in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente.

Il diritto vivente impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, l’identità della condotta e dell’evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima. Dunque, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi. In altri termini, deve essere respinta la tendenza ad espandere il concetto di identità del fatto fino a richiedere, quale presupposto per la sua sussistenza, la sola generica identità della condotta; è invece necessario che l’interprete proceda ad analizzare tutti gli elementi costitutivi, seppure riferendosi a un confronto fra fatti materiali e non semplicemente a un confronto fra disposizioni sanzionatorie.

Tali principi, calati nel caso di specie, escludono la rilevanza del divieto, atteso che – secondo quanto evidenziato dalla Corte d’Appello e confermato dalla Cassazione – non vi è identità tra i fatti di tale giudizio e quelli oggetto del precedente procedimento, che atteneva ad eventi naturalistici differenti (non l’utilizzazione ma l’emissione di fatture inesistenti nei confronti di una società diversa da quelle interessate nel procedimento qui in esame).

Con l’occasione, la Cassazione ribadisce anche alcuni principi in tema di dichiarazione fraudolenta. Tale fattispecie ha natura unitaria e individua un reato commissivo, che si consuma nel momento della presentazione o della trasmissione in via telematica della dichiarazione nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi (cfr. Cass. n. 52752/2014).

La dichiarazione annuale è atto che realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo, ma definitivo dell’evasione di quanto dovuto in forza della dichiarazione stessa. Una dichiarazione è “fraudolenta” quanto non solo è mendace, ma è altresì caratterizzata da un particolare “coefficiente di insidiosità”, in quanto supportata da un impianto contabile o documentale fittizio e non corrispondente alla realtà delle operazioni commerciali poste in essere.

Nella c.d. frode fiscale il nucleo costitutivo è concretato dalla dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, attuate in forme artificiose. Il reato si perfeziona, pertanto, nel momento nel quale la dichiarazione dei redditi è presentata agli uffici finanziari, traducendosi in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente, per porsi quale elemento strutturale della fattispecie.

Ne consegue che la condotta è compiutamente attuata ed esaurita con la presentazione della fraudolenta dichiarazione dei redditi, senza che i successivi sviluppi del rapporto tributario abbiano incidenza sul reato ormai perfezionato, sicché neppure l’accertamento della frode dispiega alcuna influenza sulla data di consumazione dell’illecito.