Il Tribunale di Roma aderisce alla soluzione interpretativa che riconosce tale possibilità

Di Maurizio MEOLI

La disciplina in materia di attività di direzione e coordinamento, con le relative responsabilità, ex art. 2497 c.c., trova applicazione anche in caso di controllo di enti pubblici, diversi dallo Stato, su società in house providing, a condizione che non si sia in presenza di una società costituita per il mero svolgimento di attività di “autoproduzione” di beni e servizi destinati, in via diretta ed esclusiva, agli enti pubblici soci.
Ad affermarlo è il Tribunale di Roma nella sentenza 8 gennaio 2021.

In base al primo comma dell’art. 2497 c.c., le società o gli “enti” che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.
Ai sensi dell’art. 19 comma 6 del DL 78/2009 convertito, nella citata disposizione del codice civile il riferimento agli enti si intende effettuato ai soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengano la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.
Oltre al requisito soggettivo, quindi, indicato in negativo (soggetti giuridici collettivi diversi dallo Stato), devono sussistere i requisiti oggettivi, alternativi, della detenzione della partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.

Anche a fronte di tali precisazioni normative, comunque, sono emerse talune incertezze interpretative.
Non è apparso chiaro, infatti, se i ricordati requisiti oggettivi possano ritenersi sussistenti anche con riferimento alle società “controllate” da enti locali e, in generale, da amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato – che, pure, di regola non svolgono attività d’impresa con scopo di lucro – quando dette società eroghino servizi di interesse economico generale, destinati a un’utenza esterna all’ente socio, o, comunque, siano gestite con il “metodo economico” proprio dell’impresa.

Il Tribunale di Roma fa propria la soluzione affermativa e sottolinea come la disciplina in questione potrebbe essere invocata anche con riferimento alla penetrante attività di direzione e controllo esercitata, da enti pubblici diversi dallo Stato, sulle società in house providing. Ciò, chiaramente, a condizione che ricorrano i requisiti oggettivi richiamati e, quindi, che non si sia in presenza di una società costituita per il mero svolgimento di attività di “autoproduzione” di beni e servizi destinati, in via diretta ed esclusiva, agli enti pubblici soci.

Con particolare riguardo alla responsabilità ex art. 2497 c.c., poi, i giudici romani precisano come essa presupponga la prova, da fornirsi da parte di chi la invoca, della esistenza “cumulativa” dei seguenti elementi:
– la titolarità, innanzitutto, in capo a una società o a un ente, di un potere di direzione e di coordinamento nei confronti di altra società. Potere che si esplica non per il tramite di un’amministrazione di fatto, dal momento che l’ente dirigente non compie, esso stesso, atti di gestione, ma attraverso un’attività atipica, che può assumere forma orale o scritta e le modalità più svariate, e che ha come soggetto attivo l’ente dirigente e come destinatari gli amministratori della società eterodiretta, sostanziandosi nella espressione di volontà della controllante in ordine ad atti gestori che dovranno essere compiuti dagli amministratori della società diretta e poi, di conseguenza, imputati a essa;
– la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della eterodiretta;
– l’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui;
– il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione e/o la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società;
– uno stretto nesso di causalità tra la condotta di eterogestione abusiva e il pregiudizio prospettato.

Ai fini del riconoscimento di tale responsabilità, allora, non basta che una condotta della parte “dirigente/coordinante”, posta in essere sulla base della relazione con la “eterodiretta/coordinata” e in attuazione del potere di direzione in questione, sia stata finalizzata al perseguimento di un interesse della prima (o di terzi), essendo necessario che il perseguimento dell’interesse proprio o altrui da parte della società in posizione “apicale” sia incompatibile con gli interessi della “eterodiretta/coordinata”, in modo tale da risultare (di conseguenza), da un lato, contrario al dovere della prima di gestire con correttezza il proprio potere sulla seconda (mala gestio ex art. 2497 c.c.) e, dall’altro, causativo, in capo a quest’ultima, come effetto immediato e diretto ex artt. 1223 e 2056 c.c., di un pregiudizio.