Il criterio del vantaggio è il più idoneo a fungere da collegamento tra l’ente e l’illecito commesso dal suo organo apicale

Di Maria Francesca ARTUSI

Il reato di lesioni colpose gravi derivante dalla violazione dei presidi di salute e sicurezza sul lavoro può rilevare anche nei confronti di una persona giuridica ai sensi del DLgs. 231/2001.
Tale decreto ha introdotto una nuova forma di responsabilità (definita espressamente “amministrativa da reato”), rappresentata da una fattispecie complessa in virtù della quale per configurare la responsabilità dell’ente è necessario non solo il compimento di un fatto-reato (tra quelli previsti ed elencati nel decreto medesimo), commesso da coloro che rivestono (in fatto o di diritto) una posizione apicale o persone sottoposte alla direzione e vigilanza degli organi della società, ma anche che tale condotta sia espressione della politica aziendale della società o quanto meno derivante da una colpa di organizzazione.

Il tema centrale in questo ambito riguarda la sussistenza del presupposto dell’interesse o del vantaggio della persona giuridica. Numerosissime sono ormai le sentenze in materia: tra queste si annovera ora anche la pronuncia della Cassazione n. 11452, depositata ieri.

Nel corso di lavori di rifacimento della copertura del tetto di una stazione ferroviaria, un lavoratore, privo di cintura di sicurezza o di qualsivoglia sistema di trattenuta, era precipitato all’interno dell’edificio da un’altezza di circa cinque metri, attraverso un varco che si era improvvisamente aperto per il cedimento strutturale della soletta. La Cassazione conferma sia la violazione della legislazione speciale in materia di sicurezza del lavoro (DLgs. 81/2008) sia quella del generale obbligo di tutela degli ambienti di lavoro sancito dall’art. 2087 c.c.

Nello specifico, poiché il reato di lesioni colpose è stato contestato al datore di lavoro, amministratore unico della srl – che per i giudici “non ha certo agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi” – l’ente deve rispondere dell’illecito salvo che, a mente dell’art. 6 del citato DLgs. 231/2001, non fornisca la prova di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Già il giudice di primo grado aveva evidenziato, quanto all’interesse, che la condotta negligente del rappresentante legale della società cui era conseguita la carenza nell’adozione di cautele antinfortunistiche non era una semplice sottovalutazione del rischio, quanto piuttosto una consapevole scelta volta al risparmio dei costi e dei tempi di lavoro, e, quanto al vantaggio, che la srl, già coinvolta in episodi analoghi, era “del tutto disattenta” alla materia della sicurezza, così che l’infortunio occorso al lavoratore era da porsi in relazione alla precisa scelta aziendale di contenimento della spesa e di massimizzazione del profitto.

Opportuno il riferimento alla sentenza “Thyssenkrupp” (Cass. SS.UU. n. 38343/2014), ove si è affermato che “l’idea di profitto deve essere conformata di guisa che sia coerente con le caratteristiche della fattispecie cui si riferisce… e si collega con naturalezza ad una situazione in cui l’ente trae da tale violazione un vantaggio che si concreta, tipicamente, nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare, o nello svolgimento di un’attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto. Qui si concreta il vantaggio che costituisce il nucleo essenziale dell’idea normativa di profitto”.

Si è ancora precisato in giurisprudenza che ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire una utilità per la persona giuridica (Cass. n. 24697/2016). Ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa.

In altre partole, pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (facendo ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).

D’altra parte, ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica agendo per conto dell’ente ha realizzato una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa, con conseguente massimizzazione del profitto.
Il criterio del vantaggio, così inteso, appare indubbiamente quello più idoneo a fungere da collegamento tra l’ente e l’illecito commesso dal suo organo apicale.