La recente pronuncia della Cassazione rende ancor più urgente un intervento da parte del legislatore

Di Savino GALLO

La sentenza n. 7407, depositata due giorni fa dalla Corte di Cassazione, potrebbe creare ulteriore incertezza sulla natura del reddito prodotto dalle società tra professionisti. Così il Consigliere del CNDCEC con delega alla fiscalità, Maurizio Postal, che, con Eutekne.info, ha commentato le conclusioni a cui è giunta la V sezione civile di Piazza Cavour.

“La sentenza – spiega Postal – sembra non considerare quanto previsto dagli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR che affermano, rispettivamente, per le società di persone commerciali (snc e sas) e per le società di capitali e cooperative che i redditi da qualsiasi fonte provengano sono considerati redditi d’impresa. Interpretazione quest’ultima che è stata recepita anche dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate”.

Proprio l’Agenzia, infatti, nella risposta a interpello 12 dicembre 2018 n. 107, aveva affermato che “per le società tra professionisti trovano applicazione le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società ed enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73, da qualunque fonte provenga, è considerato reddito d’impresa”.

Pur partendo da questo presupposto, la Cassazione sembra fare un passo ulteriore, ammettendo la possibilità che la natura dei redditi prodotti possa essere ricondotta alla tipologia di reddito da lavoro autonomo in caso di sussistenza di determinati requisiti.

Nello specifico, vengono richiamati i criteri dettati dalla stessa Corte in materia di autonoma organizzazione e conseguente assoggettabilità ad IRAP del reddito prodotto dall’attività professionale. La sentenza, infatti, afferma che la qualificazione del reddito di una STP come reddito d’impresa “deve farsi dipendere dalla concreta configurazione della società” e, in particolare, dalla presenza di un “autonomo profilo organizzativo, rispetto al lavoro professionale”, da accertarsi caso per caso (si veda “La natura del reddito della STP dipende dall’attività svolta in concreto” del 18 marzo).

I criteri in materia di autonoma organizzazione, però, incontrano un limite, in termini di applicazione, proprio nella natura dell’attività professionale. Come spiegato dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU. nn. 7291/2016 e 7371/2016), gli studi associati, le associazioni professionali e le società semplici esercenti arti o professioni sono sempre soggette a IRAP, a prescindere dalla struttura organizzativa per l’esercizio dell’attività.

Casistiche all’interno delle quali si possono includere anche le STP. Di fatto, quindi, ci sarebbe un’ulteriore incongruenza con cui dover fare i conti e che sembra poter essere risolta solo con un intervento da parte del legislatore.

Il CNDCEC, ricorda Postal, lo ha chiesto in più di un’occasione e, prendendo atto della posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, ha proposto a Governo e Parlamento “emendamenti normativi, per consentire la determinazione del reddito delle STP con le modalità del reddito professionale o con un criterio improntato al criterio di cassa al di là del perimetro stabiliti dall’art. 66 del TUIR per le imprese minori”.

“Parallelamente – aggiunge Postal – abbiamo richiesto l’introduzione di una norma di interpretazione autentica che garantisca, con effetti anche per il passato, la neutralità fiscale delle operazioni di conferimento, trasformazione o fusione di studi professionali, individuali o associati, nelle STP e delle operazioni inverse. Temiamo che la sentenza, pur avendo degli aspetti interpretativi interessanti e apparentemente di favore per le categorie professionali coinvolte, rischi purtroppo di acuire i dubbi interpretativi derivanti dalla mancanza di una disciplina espressa del regime fiscale delle STP che, sino ad oggi, ha rappresentato uno degli aspetti principali del mancato sviluppo di tale forma societaria”.

Stando, infatti, al rapporto annuale diffuso dalla Fondazione nazionale, al 1° gennaio dello scorso anno risultavano iscritte all’albo dei commercialisti solo 1.004 società tra professionisti, peraltro con un rilevante aumento (+24%) rispetto all’anno precedente, quando se ne contavano 811.