Gli importi possono essere calcolati solo nei casi in cui il mancato rispetto degli obblighi tributari non comporti un complessivo quadro di illegalità

Di Maria Francesca ARTUSI

Nell’ambito della responsabilità penale per omessa dichiarazione IVA, la determinazione della soglia di punibilità, prevista dall’art. 5 del DLgs. 74/2000, non può tenere conto delle fatture passive non contabilizzate.
Così afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10382, depositata ieri, distinguendo il calcolo della soglia di punibilità tra l’omissione della dichiarazione IVA e quella relativa alle imposte dirette.

Nel caso di specie, l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata era stato condannato per avere omesso di presentare le prescritte dichiarazioni fiscali, in tal modo evadendo le imposte sui redditi e sul valore aggiunto in misura superiore alla soglia di punibilità di 50.000 euro.

Può essere utile ricordare che l’art. 5 comma 1 del DLgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, non presenti, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa risulti superiore, con riferimento a ciascuna delle imposte stesse a cinquantamila euro. Sulla pena comminata è recentemente intervenuto il DL 124/2019 convertito, che ha sostituito la reclusione da “un anno e sei mesi a quattro anni” con la reclusione da “due a cinque anni”. Tali novità, tuttavia, hanno efficacia solo a partire dal 24 dicembre 2019, data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione.

La Corte di Cassazione in altra analoga occasione aveva sposato l’impostazione della sentenza oggi in commento, richiamando quanto statuito dalla Corte di Giustizia Ue nella causa C-332/15 e dalla relativa interpretazione della direttiva n. 2006/112/Ce (cfr. Cass. n. 23621/2020).
In particolare, la Corte di Giustizia ha posto in relazione la mancata dichiarazione IVA e la “omessa registrazione delle fatture emesse e pagate” alla “esatta riscossione delle imposte” e ha ricordato che tali condotte sono “atte a compromettere il buon funzionamento del sistema comune dell’IVA”.

I giudici del Lussemburgo, al termine di un lungo excursus motivazionale, hanno concluso che la direttiva n. 2006/112/Ce deve essere interpretata nel senso che non è preclusa allo Stato membro la possibilità di stabilire un termine di decadenza per la detraibilità dei costi e di negare la detrazione d’imposta derivante dalle fatture non contabilizzate, allorquando emerga che tale omissione si colloca in un contesto di condotte di fraudolenta violazione degli obblighi tributari.

Lo stretto collegamento fra le violazioni in materia di IVA relative alla tenuta delle scritture e alle dichiarazioni obbligatorie e gli obblighi connessi al bilancio dell’Unione è stato di recente riconosciuto anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 95/2019, che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, sotto il profilo della mancata previsione di soglie di punibilità in ragione dell’importo delle imposte fraudolentemente non dichiarate.

Pur nel contesto di diversa e più grave ipotesi di reato, la Consulta ha ribadito il principio generale secondo cui le norme fissate dal DLgs. 74/2000 dimostrano un particolare rigore del legislatore nella tutela penale del sistema tributario, dato il ruolo che la fattura riveste nel sistema dell’IVA (tributo armonizzato di diritto europeo in base alla citata direttiva 2006/112/Ce relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto): tale sistema garantisce l’attuazione del principio della neutralità dell’imposta rispetto ai soggetti passivi, mediante il meccanismo della rivalsa e della detrazione.

Una corretta applicazione di tali principi porta i giudici di legittimità a concludere che gli importi derivanti da fatture ricevute – pertinenti e pagate ma non contabilizzate – possono essere calcolati ai fini della soglia di punibilità solo nei casi in cui il mancato rispetto degli obblighi tributari non comporti un complessivo quadro di illegalità incompatibile con le finalità che la Corte di Giustizia e la Consulta hanno evidenziato.

La pronuncia oggi in esame ritiene che la condotta del ricorrente, che ha del tutto pretermesso l’esigenza di tenere una corretta contabilità per la verifica dei flussi reddituali e di presentare le periodiche dichiarazioni, rientri tra quelle che escludono la deducibilità delle fatture in contestazione.
Viene, così, confermata la condanna per omessa dichiarazione unicamente con riferimento all’imposta sul valore aggiunto.