Ai fini della determinazione del profitto del reato associativo occorre riferirsi al reato nel suo complesso

Di Stefano COMELLINI

Il provvedimento che dispone la confisca diretta deve contenere la dimostrazione, non solo che il reato ha generato un profitto, ma anche la prova che il soggetto agente ha conseguito tale profitto o una parte di esso.

Il principio, affermato nella sentenza n. 9817 depositata ieri, ha consentito alla Cassazione una ampia disamina della natura e degli effetti del sequestro ai fini della confisca diretta (art. 240 c.p.), con particolare riferimento al reato di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) per cui non è prevista l’ablazione per equivalente.

Il primo punto all’attenzione della Corte ha riguardato la possibilità di ritenere il detto reato associativo atto a generare un “profitto”, inteso come il vantaggio di natura economica, ovvero il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale (“pertinenzialità”) dall’attività del reo.

Si tratta di un tema controverso nella giurisprudenza di legittimità ove, dapprima, si era ravvisata l’inidoneità del reato di cui all’art. 416 c.p. a generare, autonomamente dai reati-fine, vantaggi economici, costituenti prodotto o profitto illecito, immediatamente riconducibili al sodalizio criminale, in quanto il mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti è di per sé improduttivo di ricchezze illecite (Cass. n. 7860/2015).

L’orientamento successivo, e ora prevalente anche nell’ambito della responsabilità degli enti (Cass. n. 8785/2019), è invece nel senso dell’attitudine del reato associativo a generare un profitto illecito – come tale suscettibile di confisca in via del tutto autonoma da quello conseguito dai reati-fine perpetrati in esecuzione del programma criminoso – con riferimento alle utilità percepite dagli associati per il contributo da essi prestato per assicurare il regolare funzionamento del sodalizio, siano esse attribuibili ad uno o più associati, in quanto l’istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso (Cass. n. 44912/2016).

In verità, a prescindere dal fatto che i reati-fine producano di per sé vantaggi, ai fini della determinazione del profitto del reato associativo occorre riferirsi al reato nel suo “complesso”, concentrandosi sull’associazione, connotata da una capacità produttiva di profitto che oltrepassa quella del singolo reato-fine.

La sentenza in commento aderisce a questo più recente orientamento, precisando, peraltro, la necessità che il provvedimento ablativo specifichi, da un lato, l’oggetto dello stesso, costituito non solo dalle utilità economiche derivate dall’associazione per delinquere o non attribuibili a specifici reati-fine, ma anche da quelle derivanti dai singoli reati-scopo accertati, evitando peraltro duplicazioni; dall’altro, l’entità del profitto effettivamente conseguito dal singolo partecipe al sodalizio, secondo il parametro della pertinenzialità.

Pertanto, in caso di reato associativo o di concorso di persone nel reato, la Corte indica il seguente modus operandi: una volta determinata l’entità del profitto sequestrabile, si accerti che tale profitto sia stato effettivamente conseguito; si verifichi poi se il profitto possa essere sequestrato nella sua identità fisica o storica (o in quella che gli autori del reato gli hanno impresso procedendo alla sua immediata trasformazione). Solo qualora non sia possibile la confisca diretta, laddove la legge lo consenta (ma questo non è per il caso di specie) va disposta l’ablazione di beni, di cui coloro che hanno commesso il reato vantano la titolarità, in misura equivalente al valore del profitto del reato considerato nella sua interezza. In quest’ultimo caso, il sequestro per equivalente, per la sua natura sanzionatoria, non deve applicarsi in proporzione all’entità del vantaggio economico individuale e l’eventuale riparto della successiva confisca costituisce fatto interno ai concorrenti nel reato.

Pertanto, una cosa è il sequestro in via diretta, funzionale a una confisca riconducibile a misura di sicurezza e, quindi, riferibile alla intrinseca pericolosità del bene sottoposto a vincolo reale (art. 240 c.p.); altra cosa è il sequestro teso alla confisca per equivalente che ha natura sanzionatoria.

Il concorso nel reato o la partecipazione a un reato associativo non muta la natura e la finalità della confisca in via diretta, appunto misura di sicurezza destinata a colpire il profitto individuato nel patrimonio di colui che lo ha materialmente conseguito. Ne consegue che il relativo provvedimento ablativo deve contenere la dimostrazione non solo che il reato abbia generato un profitto, ma anche la prova che il soggetto abbia conseguito tale profitto o una parte di esso.

Nel caso di specie, nell’ordinanza di vincolo non si dava conto della percezione di profitti da parte dei ricorrenti, partecipi dell’associazione, così da imporne l’annullamento senza rinvio.