La posizione della Cassazione richiede una preventiva comunicazione agli amministratori

Di Alessandro COTTO

La Corte di Cassazione (Cass. n. 3994/2021) è tornata di recente a occuparsi di trattamento di fine mandato (TFM), soffermandosi sul tema della polizza assicurativa stipulata al fine di garantire l’indennità di fine mandato all’amministratore.

In primo luogo, i giudici ribadiscono che la deducibilità degli accantonamenti al TFM richiede che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.
Cosa significhi questa locuzione lo precisa la stessa Cassazione (n. 13384/2020), ad avviso della quale occorre:
– la preventiva formazione del verbale assembleare di nomina degli amministratori e la successiva accettazione da parte degli stessi ovvero,
– in alternativa, una preventiva comunicazione da parte della società all’amministratore, avente data certa e contenente l’indicazione della volontà assembleare di nominare il destinatario della missiva come componente del CdA, riconoscendogli il diritto al TFM.

Dal punto di vista pratico i principi della Cassazione sembrano consigliare di spedire il verbale dell’assemblea con la relativa accettazione dell’incarico via PEC all’amministratore subito dopo l’adunanza oppure di comunicare all’amministratore prima dell’assemblea, sempre via PEC, l’intenzione di riconoscere il TFM.
Si tratterebbe di una procedura non allineata con la prassi operativa: ai sensi dell’art. 2375 c.c., infatti, il verbale deve essere redatto senza ritardo, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione, quindi nei 30 giorni dall’assemblea. Inoltre, una comunicazione che anticipi la volontà assembleare pare poco ortodossa.
Per questo è auspicabile che gli Uffici interpretino la regola fiscale con un po’ di flessibilità. Tenendo conto che la finalità della norma sarebbe quella di evitare “aggiustamenti” nell’immediatezza della chiusura del bilancio (Cass. n. 26431/2018), un ritardo fisiologico nell’attribuzione della data certa non contrasterebbe con la ratio della norma, consentendo quindi la deducibilità degli accantonamenti per competenza.

Sempre l’ordinanza in commento ricorda le ragioni per cui la Cassazione da tempo ha adottato un’impostazione restrittiva. Viene osservato che l’art. 105 comma 4 del TUIR richiama gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 comma 1 lett. c), il quale si riferisce alle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 1 lett. c-bis) dell’art. 50. Secondo la Cassazione, l’art. 105 comma 4 opera un rinvio pieno alla lett. c), non solo limitato all’identificazione della categoria del rapporto sottostante al quale l’indennità si riferisce, ma esteso alle condizioni richieste dall’art. 17 comma 1 lett. c), dal momento che, in caso contrario, sarebbe stato sufficiente il rinvio al solo comma 1 lett. c-bis) dell’art. 50 che individua i redditi di amministratore.
A ben vedere, la ricostruzione della Suprema Corte appare opinabile, posto che il mero rimando da parte dell’art. 105 comma 4 del TUIR all’art. 50 comma 1 lett. c-bis) non consentirebbe comunque di individuare le indennità di fine mandato, menzionate solo dall’art. 17 del TUIR ai fini della tassazione separata.
A ogni modo, parlando di un orientamento ormai consolidato l’unica opzione esente da rischi è quella di attenersi al rigore formale richiesto.

Venendo al punto di maggiore novità della pronuncia (ma anche di minor chiarezza), la Cassazione analizza l’ipotesi in cui gli accantonamenti siano confluiti in polizze assicurative.

Da tempo, la giurisprudenza di merito e la prassi (C.M. n. 14/1987) hanno affermato che i premi versati all’assicurazione costituiscono un mero investimento e non sono costi deducibili, mentre lo sono naturalmente gli eventuali accantonamenti alle condizioni sopra descritte.
Secondo l’ordinanza in esame, invece, il fatto che gli accantonamenti siano investiti in premi di polizze assicurative non inciderebbe sulla disciplina applicabile, costituendo essa una mera modalità di accantonamento, non incidente sul titolo dell’operazione.
Viene richiamato un orientamento della stessa Cassazione in base al quale l’accantonamento di somme per premi di fedeltà in forma di prodotti assicurativi e previdenziali da attribuire a promotori finanziari al momento della cessazione del rapporto sarebbe deducibile secondo il principio di competenza, sul presupposto che questi costituiscano un costo certo.
Pertanto, secondo la Cassazione, la Commissione tributaria regionale non si sarebbe attenuta a tale principio affermando che i premi pagati in base alla stipula di una polizza non sono deducibili in quanto investimento di natura finanziaria.

La sentenza non è chiarissima sul punto. Da quel che si evince dal testo, i giudici sembrano ignorare che, secondo la prassi contabile, la sottoscrizione di una polizza non fa venire meno l’obbligo contabile di effettuare l’accantonamento al TFM e che l’investimento nella polizza è generalmente contabilizzato tra le immobilizzazioni finanziarie.
In tale prospettiva, se la questione fosse la deducibilità del premio assicurativo e non quella dell’accantonamento, la data certa risulterebbe irrilevante perché il premio assicurativo non è deducibile.