Su costi pluriennali e avviamento «un’anomalia di sistema»

Di Massimo Boidi

L’art. 2426 c.c., che detta i criteri di valutazione in tema di bilancio, stabilisce al n. 5 del primo comma che “i costi di impianto e di ampliamento e i costi di sviluppo aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale”, mentre al n. 6 che “l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto”.
La Norma 8.4 delle Norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate, emanate il 18 dicembre 2020 e in vigore dal 1° gennaio 2021, riprendono e confermano quanto già contenuto nelle precedenti versioni, non potendo ovviamente che prendere atto di una norma di legge e prevedere il conseguente adempimento.

Per questo è ribadito che i costi pluriennali sono costi che non esauriscono la loro utilità nell’esercizio in cui sono sostenuti e, per la loro natura straordinaria, possono essere iscritti nell’attivo sulla base di una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, con il consenso del Collegio sindacale. Si tratta in particolare dei costi di impianto, di ampliamento, di sviluppo e di avviamento, quest’ultimo se acquisito a titolo oneroso. Il Collegio sindacale, per fornire il proprio consenso, deve annualmente accertare che sia ragionevolmente dimostrata l’utilità futura di tali costi, che esista una correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri e che sia prevedibile, con ragionevole certezza, la loro recuperabilità. A tal fine il Collegio scambia le necessarie informazioni con il soggetto incaricato della revisione.

Vorrei richiamare l’attenzione sulla discrezionalità tecnica precedentemente evidenziata e ricordare che la norma civilistica in questione è titolata “criteri di valutazione”, nonché sottolineare come al Collegio sindacale sia richiesto uno specifico scambio di informazioni con il soggetto incaricato della revisione legale.

Con la riforma del 2003 al Collegio sindacale è stata tolta ogni forma di controllo tecnico sul bilancio, tant’è che, inizialmente, l’art. 2409-ter c.c., titolato “Funzioni di controllo contabile”, imponeva al revisore di verificare se il bilancio di esercizio corrispondeva alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e se era conforme alle norme che lo disciplinavano. Il DLgs. 39/2010, emanato in attuazione della Direttiva 2006/43/Ce, ha di fatto espunto dal codice civile tutte le norme sulla revisione legale, che quindi oggi contiene solo più le norme sul Collegio sindacale.

Ciò premesso, oggi i compiti di questi due organi di controllo sono nettamente distinti, per cui il Collegio sindacale, non incaricato della revisione legale, è chiamato a svolgere sul bilancio d’esercizio esclusivamente l’attività di vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, con un controllo sul rispetto, da parte degli amministratori, delle norme procedurali inerenti alla formazione, al deposito e alla pubblicazione, non dovendo effettuare controlli analitici di merito sul contenuto dello stesso, né esprimere un giudizio sulla sua attendibilità. Il Collegio sindacale non ha, quindi, alcun obbligo di eseguire procedure di controllo per accertare la verità, la correttezza e la chiarezza sul bilancio (Norma 3.8).

Allo stesso tempo l’art. 14 del DLgs. 39/2010 prevede, alla lett. a) del primo comma, che il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti esprima con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio e illustri i risultati della revisione, mentre al secondo comma, lett. c), dispone che la relazione comprenda un giudizio sul bilancio di esercizio, che indica chiaramente se questo è conforme alle norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.

A parere di chi scrive un giudizio sulla conformità del bilancio alle norme che ne disciplinano la redazione comprende, in modo piuttosto evidente, un controllo sull’adozione di corretti principi di valutazione, che, come visto in precedenza, sono previsti dall’art. 2426 c.c.

Se quindi ciò è vero, la conseguente considerazione è che oggi il parere richiesto a un Collegio sindacale, non investito della funzione di revisione legale, sull’iscrizione dei costi pluriennali e dell’avviamento, sulla base di un giudizio basato esclusivamente su una discrezionalità tecnica condivisa con gli amministratori, rappresenta, a tutti gli effetti, “un’anomalia di sistema” a cui non possono porre rimedio né norme di carattere deontologico, quali le Norme di comportamento del Collegio sindacale, né un DLgs. che si occupa unicamente ed esclusivamente di revisione legale.

Sarebbe quindi opportuno, per non dire necessario, che il legislatore si facesse carico una volta per tutte di questa “svista” e, anche al fine di evitare responsabilità, oggi del tutto gratuite, a carico di un organo troppo spesso bersagliato da pretese risarcitorie, eliminasse dal contesto normativo queste richieste di consenso o, al più, ne specificasse la necessità solo quando al Collegio sindacale fosse affidata anche la revisione legale.