A seconda delle ipotesi, può richiedersi il dolo generico o quello specifico

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nelle sentenze nn. 2483 e 2510, entrambe depositate lo scorso 21 gennaio, si sofferma, con importanti precisazioni, sulla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942.
Ai sensi di tale disposizione, è punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

L’elemento oggettivo del delitto in questione, osserva innanzitutto la Cassazione n. 2483/2021, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è integrato dalla fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento, causata non solo dalla sottrazione delle stesse, ma anche dalla loro distruzione od omessa tenuta; condotte tutte equivalenti ai fini della sussistenza della fattispecie in parola (cfr. Cass. nn. 26379/2019 e 42754/2017).

Con riferimento all’elemento soggettivo, poi, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che la fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta qualora si accerti che scopo della condotta sia quello di recare pregiudizio all’interesse dei creditori a una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche del fallito (cfr. Cass. nn. 40015/1014 e 20999/2013).

Più recentemente, peraltro, si è ulteriormente precisato che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma e alternativa – in seno all’art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942 – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture. In quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi, nel cui contesto rileva la volontaria tenuta secondo tali modalità nella consapevolezza che tale operatività è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio (Cass. nn. 33114/2020 e 26379/2019).
Si parla, dunque, nel primo caso, di bancarotta fraudolenta documentale specifica, sorretta dal dolo specifico, e, nel secondo, di bancarotta fraudolenta documentale generica, sorretta dal dolo generico.

Gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, perché rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato. Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica, o della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica. Tra le suddette circostanze è centrale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende della vita economica dell’impresa.

In particolare, precisa la Cassazione n. 2510/2021, il dolo generico deve essere desunto, con metodo logico-inferenziale, dalle modalità della condotta contestata, e non dal solo fatto che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, fatto che costituisce l’elemento materiale del reato ed è comune alla diversa, e meno grave, fattispecie di bancarotta semplice, incriminata dall’art. 217 comma 2 del RD 267/1942; né può essere dedotto da circostanze successive al fallimento, che costituiscono un posterius rispetto al fatto-reato. Peraltro, ove la condotta sia contenuta in limiti temporali ristretti è ancor più necessario chiarire da cosa si desuma che l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, atteso che, in quest’ultimo caso, si integra l’atteggiamento psicologico della bancarotta semplice (cfr. Cass. n. 26613/2019).

Dalla natura alternativa delle ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, infine, deriva che, una volta accertata la responsabilità in ordine alla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita – che richiede il solo dolo generico – diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, anch’essa contestata (cfr. Cass. n. 43977/2017).