L’utilizzo massiccio del lavoro agile, unitamente alle disposizioni normative emergenziali degli ultimi mesi, ha risvolti pratici in questo ambito

Di Vincenzo PACILEO e Lorenzo Sergio VITALI

La L. 81/2017, agli artt. 1824, ha disciplinato per la prima volta in modo organico il lavoro agile (c.d. “smart working”), con l’obiettivo di incrementare la produttività aziendale e conciliare le esigenze professionali con quelle personali del lavoratore.
Il lavoro agile, da non confondere con il c.d. “telelavoro” o lavoro a distanza, viene definito come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti” che può essere svolta “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici […] in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Con l’avvento della pandemia da COVID-19 il ricorso allo smart working è stato sempre più frequente (consentito, nel periodo emergenziale, anche in assenza di specifici accordi tra le parti), al fine di contenere i contagi, minimizzando gli spostamenti dei lavoratori e la loro presenza fisica sul luogo di lavoro.

L’utilizzo massiccio del lavoro agile, unitamente alle disposizioni normative emergenziali che si sono susseguite negli ultimi mesi, ha risvolti pratici in termini di salute e sicurezza sul lavoro. Su questo punto non si può prescindere dall’osservanza degli obblighi in tema di sicurezza che già la L. 81/2017 ha delineato e che sono stati poi specificati con la circolare INAIL n. 48/2017.
Con riferimento all’utilizzo degli strumenti di lavoro, l’art. 18, comma 2 della L. 81/2017 individua il datore di lavoro come il “responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa” all’esterno dei locali aziendali, mentre l’art. 22 assegna al datore di lavoro la veste di garante della salute e della sicurezza del lavoratore anche in smart working, imponendogli di consegnare al dipendente (e al RLS) con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta in cui vengono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro agile.

Il DPCM 1° marzo 2020 ha introdotto una deroga esplicita a tale disposizione per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria, consentendo di assolvere l’obbligo di informativa anche in via telematica, ricorrendo alla documentazione disponibile dell’INAIL.

La previsione di tale obbligo deve, in ogni caso, essere coordinata con le disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, con particolare riferimento al compito di redigere e aggiornare il DVR ai sensi del DLgs. 81/2008; il dovere di informativa ex art. 22 della L. 81/2017, pertanto, non deroga l’ordinaria disciplina prevenzionistica, ma si inserisce all’interno del quadro normativo già in vigore rafforzandone ed esplicitandone il contenuto sul terreno del lavoro agile.

Specularmente, per espressa disposizione di legge, il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione lavorativa; il dovere di collaborazione non è limitato, dunque, solo al corretto utilizzo dei dispositivi tecnologici assegnati, ma si traduce nella scelta di un luogo di lavoro idoneo alla specifica mansione assegnata.

Sul versante della copertura assicurativa del lavoratore in smart working, l’art. 23 della L. 81/2017 e la circolare n. 48/2017 riconducono espressamente la tutela assicurativa per gli infortuni dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali, nonché a ogni altra attività prodromica e/o accessoria, purché strumentale allo svolgimento delle mansioni svolte, agli ordinari principi di carattere generale, e con il solo limite del rischio c.d. “elettivo”.
Il criterio ora esposto viene applicato anche agli infortuni “in itinere”, per i quali la legge riconosce il diritto al risarcimento nei casi in cui “la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.

Un ultimo aspetto riguarda il c.d. “diritto alla disconnessione” (art. 19), secondo cui l’accordo stipulato tra il dipendente e il datore di lavoro deve comprendere anche i tempi di riposo del lavoratore e le misure necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
Seppure la terminologia corrente, parlando di “diritto alla disconnessione”, abbini tale concetto al dovere di consentire la disconnessione del lavoratore, sarebbe forse più corretto spostare la prospettiva sul piano della prevenzione, evidenziando i rischi per la salute conseguenti a un eccesso di “connessione”, consentendo così alla contrattazione collettiva di individuare nuovi strumenti giuridici diretti ad assicurare la corretta gestione dei tempi di lavoro in smart working.