I principi contabili nazionali non disciplinano in modo specifico come trattare contabilmente agevolazioni come la detrazione del 110%

Di Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE

Una delle agevolazioni che sta suscitando il maggior interesse in questi mesi è il c.d. superbonus introdotto dal decreto “Rilancio”. Si tratta dell’incremento al 110% dell’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di riduzione del rischio sismico, di installazione di impianti fotovoltaici, nonché delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

I beneficiari di tale agevolazione, che consiste in una detrazione in cinque anni dall’imposta pari al 110% delle spese sostenute, possono anche optare, alternativamente, per una delle seguenti soluzioni:
– lo sconto in fattura sul corrispettivo dovuto al fornitore (fino all’intero corrispettivo);
– la cessione di un credito d’imposta pari alla detrazione spettante ad altri soggetti (es. istituti di credito).

In capo al fornitore, in caso di concessione dello sconto in fattura, sorge un credito d’imposta pari all’ammontare della detrazione, utilizzabile per un quinto nei successivi cinque esercizi. Nel caso di opzione per lo sconto in fattura da parte del fornitore è molto probabile che, soprattutto nel caso di piccole e medie imprese, quest’ultimo valuterà la possibilità di cedere il credito d’imposta a un istituto di credito, al fine di ottenere liquidità immediata. Naturalmente, in caso di cessione di un credito pari a 110, la banca riconoscerà un importo inferiore, pari ad esempio a 100.
Il prezzo di acquisto del credito sarà inferiore sia perché l’istituto di credito deve ottenere un beneficio economico dall’acquisto, sia perché il credito è utilizzabile soltanto un quinto all’anno, pertanto deve essere scontato l’effetto finanziario.

I principi contabili nazionali non disciplinano in modo specifico come trattare contabilmente agevolazioni simili. Di seguito ci proponiamo di individuare le rilevazioni contabili che derivano da tali operazioni in capo al fornitore in caso di sconto in fattura e successiva cessione del credito.

Il fornitore emetterà la fattura per il servizio al cliente, ad esempio pari a 100. Se accetta di concedere lo sconto sul corrispettivo, ad esempio, pari all’80%, in contabilità il credito verso il cliente sarà chiuso in avere per l’importo dell’80%, mentre il residuo 20% sarà chiuso al momento dell’incasso. In contropartita in dare si origina il credito d’imposta.
Tale credito, però, sarà pari al 110% dello sconto concesso, pertanto pari a 88 (80 più il 10%). Il maggiore credito d’imposta rispetto allo sconto concesso originerà una rilevazione in avere nella voce “A5) Altri ricavi e proventi” di Conto economico.

Successivamente, se l’istituto di credito accetta di acquistare il credito, il fornitore rileverà in avere la chiusura del credito d’imposta e in dare per l’ammontare incassato si movimenterà il conto corrente bancario, mentre per la parte complementare si dovrà rilevare un onere finanziario. Ci si può domandare se il costo che si origina da tale operazione sia da correlare o meno all’utilizzo in cinque anni del credito. A nostro parere, il costo è di competenza dell’esercizio in cui avviene la cessione del credito all’istituto di credito, proprio perché il minor incasso ottenuto deriva principalmente dall’utilizzabilità del credito in cinque esercizi.

Nel caso in cui, invece, il fornitore non optasse per la cessione del credito, in sede di chiusura si dovrà valutare se può ritenere di riuscire attraverso la compensazione a utilizzare l’intero quinto spettante per tutti e cinque i successivi esercizi.
Nei casi in cui ciò fosse a rischio, potrebbe essere necessario effettuare una svalutazione parziale del credito. In caso contrario, situazione probabile stante l’ampia possibilità di utilizzo in compensazione, sarà sufficiente indicare a bilancio, nei diversi esercizi, le quote esigibili oltre dodici mesi.