La motivazione in ordine alla strumentalità del bene sequestrato rispetto all’accertamento penale diventa requisito indispensabile

Di Maria Francesca ARTUSI

In materia di sequestro preventivo non è sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda. Si richiede, nello specifico, al giudice di verificare la sussistenza del “fumus commissi delicti” (cioè degli indizi di reato) attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato.

In base a tali principi la Cassazione – con sentenza n. 29956 depositata ieri – ha annullato il decreto di sequestro di un macchinario (un mezzo di sollevamento) di una ditta edile relativo alla contestazione del reato di omicidio colposo conseguente all’infortunio mortale di un dipendente della medesima impresa. Il sequestro era stato motivato ritenendo che la libera disponibilità del bene, in quanto strumentale all’attività di impresa svolta in violazione delle norme antinfortunistiche, potesse agevolare la reiterazione delle condotte illecite e protrarne le conseguenze dannose.
I giudici di legittimità ritengono, in proposito, di dover specificare meglio i presupposti e i confini del sequestro preventivo.

Ai sensi dell’art. 321 c.p.p., questo può essere disposto dal giudice su richiesta del Pubblico Ministero: quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati; ovvero in relazione alle cose di cui è consentita la confisca ai sensi dell’art. 240 c.p.

Il pericolo rilevante deve essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, connessa all’effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa o al suo uso, e deve essere concreto e attuale, e per “cose pertinenti al reato” sono anche quelle che risultino indirettamente legate al reato per cui si procede, sempre che la libera disponibilità di esse possa dare luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze di detto reato ovvero all’agevolazione nella commissione di altri reati.

Inoltre, seppur non pienamente accertato, un reato deve essere configurabile ed il giudice deve poter esercitare un controllo effettivo che, pur coordinato e proporzionale con lo stato del procedimento e con lo stato delle indagini, non sia meramente formale, apparente, appiattito alla mera prospettazione astratta, ipotetica ed esplorativa della esistenza di un reato da parte della Pubblica accusa.

Si tratta di una esigenza funzionale alla ineludibile necessità di un’interpretazione della norma che tenga anche conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto alla finalità perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. In ambito sovranazionale, il principio in esame è ormai affermato tanto dalle fonti dell’unione (cfr. par. 3 e 4 dell’art. 5 del TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali), che dal sistema della CEDU. Anche laddove non entri espressamente in gioco il tema dei diritti fondamentali, il principio di proporzionalità assolve ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto.

Dunque, solo valorizzando l’onere motivazionale degli organi giudicanti è possibile tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu.

In tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità del bene sequestrato rispetto all’accertamento penale diventa requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro (per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni) si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità.

Tale requisito di pertinenzialità va inteso nel senso che il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso; non è, invece, sufficiente una relazione meramente “occasionale” tra la “cosa” e il reato commesso.

Nel caso di specie non era stato, invece, giustificato il nesso di causalità tra l’utilizzo della gru oggetto di sequestro e l’evento mortale accaduto alla vittima né era chiarito come il bene si collocasse nella serie causale che aveva determinato l’evento, (ad esempio, se per un difetto strutturale o per un errore di manovra del suo conducente). La stessa violazione della normativa antinfortunistica non sarebbe stata contestata in relazione all’utilizzo del mezzo in questione, essendo piuttosto relativa ad altre modalità della condotta di reato.