La Corte d’Appello di Napoli si sofferma sulle caratteristiche principali della responsabilità di cui all’art. 2497 comma 1 c.c.

Di Maurizio MEOLI

L’attività di direzione e coordinamento di società, anche se condotta nell’interesse imprenditoriale della società “controllante” o di terzi, e finanche se svolta in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società eterodirette, non è, di per sé sola, fonte della responsabilità contemplata dall’art. 2497 comma 1 c.c., occorrendo pur sempre che l’esercizio di tale potere abbia danneggiato il patrimonio della società controllata.
A precisarlo è la Corte d’Appello di Napoli nella sentenza 8 giugno 2020 n. 2035.

Ai sensi dell’art. 2497 comma 1 primo periodo c.c., le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.

La responsabilità della società (o dell’ente) che esercita l’attività di direzione e coordinamento nei confronti dei creditori sociali delle società “eterodirette” ricalca quella disegnata dall’art. 2394 c.c. (ed oggi anche dal nuovo art. 2476 comma 6 c.c., come inserito dall’art. 378 comma 1 del DLgs. 14/2019), ai sensi del quale, “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”.

Di conseguenza – a parte l’elemento differenziale rappresentato, nell’attività di direzione e coordinamento, dal rapporto strumentale tra l’attività della “controllante” ed il perseguimento di un “interesse imprenditoriale proprio o altrui” in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale – occorre in entrambi i casi allegare e provare: una condotta contraria a determinati doveri (imposti dalla legge o dallo statuto, quanto alla responsabilità ex art. 2394 c.c., e di corretta gestione societaria e imprenditoriale, con riguardo alla responsabilità ex art. 2497 comma 1 c.c.); la produzione di un danno; il nesso di causalità tra l’una e l’altra.

Rispetto a tali profili sono ritenute utili le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 9100/2015.
A fronte di ciò, e con specifico riferimento alla responsabilità da “abusiva” attività di direzione e coordinamento, i giudici napoletani sottolineano come essa non possa desumersi dai contrapposti esiti dei rispettivi risultati economici: con la controllante che prima riduceva e poi azzerava i propri debiti, e la controllata che, in breve tempo, si ritrovava in stato di insolvenza e falliva (circostanza che, ex art. 2497 comma 4 c.c., rimette nelle mani del curatore fallimentare l’azione in questione).

L’attività di direzione e coordinamento, anche se condotta nell’interesse imprenditoriale della società controllante o di terzi, e finanche se svolta in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società eterodiretta, non è, di per sé sola, fonte della responsabilità contemplata dall’art. 2497 comma 1 c.c. Come evidenziato, infatti, occorre pur sempre che l’esercizio di tale potere abbia danneggiato il patrimonio della società controllata.

Tale affermazione, peraltro, trova riscontro nello stesso art. 2497 comma 1 c.c., che, nel secondo periodo, stabilisce che “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”.

La lesione patrimoniale della società eterodiretta, quindi, non è ravvisabile, di per sé, né nella circostanza che la società o l’ente dominante abbia conseguito vantaggi, né nel fatto che la società eterodiretta non abbia conseguito utili, o sia finita in dissesto, o sia addirittura stata dichiarata fallita.

A tali fini occorre la prova, in primo luogo, dell’immediata e diretta incidenza causale che le scelte e le decisioni gestorie adottate dalla società dominante secondo i caratteri sopra ricordati abbiano avuto sulla gestione societaria ed imprenditoriale di quella dominata, e, in secondo luogo, dell’effetto depauperativo che la loro attuazione abbia prodotto nei confronti della generica garanzia patrimoniale di quest’ultima a favore dei relativi creditori.

Affermazioni che trovano conferma nella ricordata decisione delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU. n. 9100/2015), secondo cui l’attività d’impresa è intrinsecamente connotata dal rischio di possibili perdite, il cui verificarsi non può mai essere considerato, di per sé solo, un sintomo significativo della violazione dei doveri incombenti sull’amministratore – e, in primo luogo, di quello di diligenza nella gestione – in quanto una gestione diligente dell’impresa non è sufficiente a garantirne risultati positivi.