Con l’attuazione della «direttiva PIF» viene esteso ulteriormente il catalogo 231

Di Maria Francesca ARTUSI

Il decreto attuativo della direttiva Ue 2017/1371 sulle “frodi IVA” è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri, nel corso della medesima seduta notturna che ha avuto all’ordine del giorno il decreto semplificazioni.
Viene, così, data attuazione alla legge delega 117/2019, con cui è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione (anche nota come direttiva PIF).

Nel decreto si trovano alcune modifiche al codice penale inerenti i reati maggiormente connessi agli interessi finanziari dell’Unione europea, come il peculato mediante il profitto dell’errore altrui, l’induzione indebita a dare o promettere utilità, la truffa aggravata. Vengono previste circostanze aggravanti allorché alcune condotte ledano gli interessi finanziari dell’Unione con un danno o un profitto superiore a 100.000 euro (artt. 316316-ter e 319-quater c.p.), ovvero viene ampliato il novero degli interessi tutelati a livello internazionale (artt. 322-bis e 640 c.p.).

Nell’ambito del diritto penale tributario viene previsto un nuovo comma 1-bis nell’art. 6 del DLgs. 74/2000 dedicato al tentativo. Questo articolo attualmente consta di un unico comma volto a stabilire che i delitti di dichiarazione fraudolenta e infedele non sono comunque punibili a titolo di tentativo. Con il nuovo decreto legislativo, l’esclusione non opera nei casi in cui gli atti diretti a commettere tali delitti (artt. 23 e 4 del DLgs. 74/2000) sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Ue, al fine di evadere l’IVA per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro (salvo che il fatto integri il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti).

Un aggravamento di pena è previsto per i reati di contrabbando (art. 295 del DPR 43/1973), per i quali la relazione illustrativa precisa anche che “si è resa necessaria la criminalizzazione di condotte che erano state di recente depenalizzate” ad opera del DLgs. 8/2016.

L’intervento più decisivo e atteso riguarda però l’integrazione delle disposizioni del DLgs. 231/2001, in materia di responsabilità delle persone giuridiche. In questo ambito la legge delega chiedeva al Governo di prevedere “espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del medesimo decreto legislativo” (art. 3 comma 1 lett. e) della L. 117/2019).

Va detto che una prima attuazione rispetto a quanto richiesto dalla direttiva PIF poteva già essere individuata nell’inserimento di alcuni dei più gravi delitti tributari tra i reati presupposto “231”, ad opera del DL 124/2019 convertito, che ha di recente introdotto il nuovo art. 25-quinquiesdecies nel DLgs. 231/2001. A partire dal 24 dicembre scorso gli enti possono essere perseguiti a seguito della commissione dei delitti di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000), emissione di fatture false (art. 8 del DLgs. 74/2000), occultamento o distruzione dei documenti contabili (art. 10 del DLgs. 74/2000) e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 del DLgs. 74/2000) da parte di soggetti apicali o sottoposti che agiscano nel loro interesse o vantaggio.

Con il nuovo decreto viene ulteriormente modificato il DLgs. 231/2001.
Per quanto riguarda gli illeciti fiscali, il neonato art. 25-quinquiesdecies è completato con la previsione di un comma 1-bis che punisce i delitti di infedele dichiarazione (fino a 300 quote), di omessa dichiarazione (fino a 400 quote) e di indebita compensazione (fino a 400 quote), “se commessi anche in parte nel territorio di altro Stato membro dell’UE al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a 10 milioni di euro”. Come per gli altri reati fiscali inseriti in questo articolo, è prevista una pena aggravata in caso di profitto di rilevante entità e l’applicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 del DLgs. 231/2001.

In virtù degli interessi finanziari Ue connessi ai “diritti di confine, viene, inoltre, previsto un successivo art. 25-sexiesdecies dedicato ai reati di contrabbando disciplinati dal DPR 43/1973, a cui conseguono una sanzione pecuniaria fino a 200 quote (fino a 400 quando i diritti di confine superano i 100.000 euro) e le sanzioni interdittive del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi e del divieto di pubblicizzare beni o servizi (art. 9 comma 2 lett. c), d), e) del DLgs. 231/2001).

Alcune modifiche alla responsabilità degli enti toccano anche i reati contro la Pubblica Amministrazione. Negli artt. 24 e 25 del DLgs. 231/2001 vengono, infatti, inseriti i delitti di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), delle frodi nel settore agricolo (art. 2 della L. 898/1986), di peculato (artt. 314 comma 1 c.p. e 316 c.p.) e di abuso di ufficio (art. 323 c.p.).