Possibile il fallimento nei termini dell’art. 10 del RD 267/1942

Di Maurizio MEOLI

La scissione totale dà luogo a un fenomeno estintivo cui si applica, rispetto alla società scissa, che resta fallibile, l’art. 10 del RD 267/1942.
Ad affermarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 11984/2020.

I giudici di legittimità ricordano, innanzitutto, come, in esito alla riforma del diritto societario, sia stato sottolineato il fatto che la scissione societaria si accompagna a un fenomeno successorio, ma precisandosi che quest’ultimo è giustificato da una modifica organizzativa del rapporto sociale da cui deriva l’inapplicabilità di alcune delle disposizioni previste per i trasferimenti a causa di morte o per atto tra vivi.
Di conseguenza, il vero problema è stato ravvisato nel verificare la misura della compatibilità di regole e principi in tema di vicende traslative con quelli speciali e peculiari stabiliti in tema di scissione.

In ogni caso, in presenza di scissione societaria si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, con la conseguenza che non è preclusa la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal Registro delle imprese ex art. 10 del RD 267/1942.
Ai sensi di tale disposizione, gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal Registro delle imprese se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine di cui sopra.

La cessazione dell’impresa collettiva, quindi, coincide con la sua cancellazione volontaria. Vale a dire che, in tal caso, la cessazione si puntualizza e consiste in essa e ciò per equivalenza normativa posta ovvero per presunzione legale ed assoluta. La presunzione legale è, invece, relativa nel caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi, consentendosi ai creditori e al pubblico ministero – che chiedano la dichiarazione di fallimento – di dimostrare che, nonostante la cancellazione, l’attività sia effettivamente proseguita.

Anche nel caso di scissione totale la società scissa non sopravvive, ma si estingue senza liquidazione: si tratta di una tecnica di estinzione alternativa alla liquidazione (cfr. gli artt. 2 e 17 della direttiva 82/891/Cee e Cass. n. 6143/2001). E se l’ente si è estinto (e ne è seguita la cancellazione al Registro delle imprese) non può che trovare applicazione l’art. 10 del RD 267/1942.

D’altra parte, nel vigente sistema normativo un fenomeno di riorganizzazione societario qual è la scissione, come pure, più in generale, la modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali. In realtà, poi, il tema della soggezione della società scissa alle procedure concorsuali non risulta propriamente attenere al piano dell’organizzazione societaria dell’impresa, ma, piuttosto, al piano dell’operatività dell’impresa e dei suoi rapporti con i terzi, contraenti e creditori (cfr. Cass. n. 4737/2020).

Né rileva l’utilizzo del termine “assegnazione” nell’art. 2506 comma 1 c.c., perché ciò avviene comunque in un contesto in cui, come emerge dall’art. 2506 comma 3 c.c., la società scissa – che stabilisce di non “continuare la propria attività” – è avviata al suo “scioglimento” senza liquidazione, con conseguente “estinzione”.

In termini più generali, ancora, la responsabilità delle beneficiarie per i debiti propri della società scissa, ex artt. 2506-bis comma 3 e 2506-quater comma 3 c.c., non può determinare l’elisione della responsabilità della società scissa.
Nel nostro ordinamento, infatti, l’esonero dalla responsabilità patrimoniale, come pure le limitazioni della stessa, presuppongono un’espressa previsione normativa a corredo (cfr. l’art. 2740 comma 2 c.c.), non potendosi ritenere sufficiente a fondare un simile (e dirompente) effetto la mera diversità del tenore letterale della previsione relativa al caso della scissione parziale rispetto a quello per la scissione totale (cfr. ancora Cass. n. 4737/2020).

In ogni caso, non può essere considerato di ostacolo alla dichiarazione di fallimento della società scissa il fatto che nessuno dei suoi creditori abbia formulato opposizione alla disaggregazione dell’ente ex artt. 2506-ter comma 5 e 2503 c.c. Lo strumento dell’opposizione dei creditori alla scissione è, infatti, rimedio non “sostitutivo e necessario”, ma solo “aggiuntivo”, mancando, d’altronde, una disposizione ad hoc, che pure sarebbe necessaria in un sistema in cui la procedura fallimentare non è rimessa alla disponibilità dei creditori (cfr. Cass. n. 31654/2019, ripresa da Cass. n. 4737/2020).

Da tutto quanto precisato, infine, consegue anche che legittimato a ricevere la notificazione del ricorso per fallimento è l’ultimo legale rappresentante della società cancellata.