La Corte d’Appello di Roma conferma la legittimità della clausola, anche parasociale, di «russian roulette»

Di Maurizio MEOLI

La Corte d’Appello di Roma, nella sentenza n. 782 del 3 febbraio scorso, ha confermato la sentenza n. 19708/2017 con la quale il Tribunale capitolino aveva riconosciuto la validità di una clausola di “russian roulette” contenuta in un patto parasociale; clausola che, in genere, senza prevedere criteri da seguire per la valutazione delle partecipazioni, in caso di conflitti o stalli non altrimenti risolvibili (trigger events) in società paritetiche, riconosce a uno o a entrambi i soci la facoltà di rivolgere un’offerta di acquisto all’altro socio, comunicando il valore che attribuisce alle partecipazioni rappresentative dell’intero capitale sociale e, quindi, percentualmente, il prezzo a cui è disponibile ad acquistare. L’altro socio può accettare l’offerta e vendere al prezzo così determinato ovvero acquistare la partecipazione dell’altro assumendo come base di determinazione del prezzo il valore del capitale sociale comunicato dalla controparte.

Si tratta – osserva la Corte d’Appello – di contratti in cui la volontà delle parti è espressa preventivamente, come nelle opzioni di vendita, e in cui la condotta silente eventualmente tenuta va a consolidare una precisa volontà già espressa al momento della sottoscrizione del patto parasociale (entrambe le parti, peraltro, non tenendo un contegno silenzioso, possono acquistare anziché vendere).

È vero, inoltre, che tale clausola non possa considerarsi nulla per vizio dell’oggetto in ipotesi rimesso al mero arbitrio di una delle parti. Ciò in quanto è il meccanismo stesso a escludere in radice un mero arbitrio consentendo all’altra di approfittare di un’eventuale sottovalutazione della partecipazione, acquistando, ovvero, di una sopravvalutazione, cedendo. E l’esercizio di tale facoltà costituisce un diritto potestativo insindacabile dalla controparte.
Non è vero, poi, che la clausola in questione possa ritenersi valida solo a condizione di garantire un’equa valorizzazione della partecipazione sociale non inferiore a quella spettante al socio recedente (o in caso di riscatto), non potendo estendersi quanto sancito con riguardo alle clausole di drag along (o di covendita).

Le differenti funzioni – antistallo, per la russian roulette, e di agevolazione alla cessione da parte del socio di maggioranza ove il terzo abbia interesse all’acquisto dell’intero capitale sociale tutelando anche il socio di minoranza, per la drag along – rendono condivisibile, nel caso in questione, l’individuazione del valore da prendere a riferimento (quale equa valorizzazione) in quello che il socio otterrebbe in sede di liquidazione della società (quale esito al quale si giungerebbe in assenza di una clausola antistallo).

La non necessità di un meccanismo di equa valorizzazione, peraltro, vale, a maggior ragione, in un contesto, come quello di specie, in cui la clausola di russian roulette è collocata in un patto parasociale, non potendosi porre limiti normativi alla libertà negoziale delle parti di programmare le condizioni economiche di un contratto di scambio solo per esse vincolante.

La Corte d’Appello dichiara di condividere altresì l’impostazione adottata dal Tribunale con riguardo alla non ravvisabilità di una violazione del divieto del patto leonino (art. 2265 c.c. rilevante anche nei patti parasociali). La circostanza che l’avvio della procedura è condizionata al verificarsi di alcuni specifici eventi (di incapacità decisionale o di scadenza del patto parasociale), infatti, impedisce alla parte di approfittare di particolari momenti favorevoli (ad esempio, di forte crescita) per escludere l’altro socio dalla partecipazione societaria conseguendo le utilità a questi spettanti (d’altronde, finché la società resta operativa, e quindi pariteticamente partecipata, ciascun socio consegue utili o subisce perdite di valore della partecipazione secondo le regole ordinarie).

Da escludere anche la nullità della clausola per violazione della disciplina della durata dei patti parasociali di cui all’art. 2341-bis c.c. (durata non superiore a 5 anni, rinnovabile, e recesso ad nutum in caso di durata indeterminata) nel momento in cui si contempli tra i casi di stallo anche il mancato rinnovo del patto a termine. Ciò in quanto: appare ragionevole, in una società a partecipazione paritaria, considerare il mancato rinnovo di simili patti quale ipotesi di stallo, senza che ciò equivalga a dire che il mancato rinnovo dei patti è sanzionato con l’espulsione in ragione della bilaterialità della clausola; la funzione di tale previsione è quella di rendere effettiva e piena la tutela della operatività della società assicurata dalla clausola antistallo.

Le clausole che collegano al mancato rinnovo del patto l’avvio della procedura di stallo, quindi, non appaiono dirette a condizionare la volontà dei paciscenti allo scopo di “cristallizzare” gli equilibri (proprietari e di governo) riflessi dal patto, ma, al contrario, sono finalizzate a una risistemazione di tali equilibri proprio per il caso in cui il vincolo parasociale venga a cessare per effetto del mancato rinnovo, scongiurando lo scioglimento della società.
Le clausole in parola, cioè, appaiono volte a disciplinare ex ante la ridefinizione degli assetti proprietari e di governo per il caso in cui il rapporto parasociale cessi di esistere.