La mancata predisposizione di rimedi efficaci deve essere caratterizzata da colpa grave, accertata in concreto, individuandone le ragioni

Di Maria Francesca ARTUSI

Sussiste il reato di bancarotta societaria semplice nel caso di inerzia dei componenti del consiglio di amministrazione di una società fallita, che hanno il potere e il dovere di attivarsi per impedire le conseguenze più gravi del dissesto, già intuibili da molteplici indicatori dello stato di crisi economica e finanziaria in cui versi la società nei mesi antecedenti il fallimento.

In particolare, nella sentenza n. 17626 depositata ieri, la Cassazione affronta il tema della responsabilità per bancarotta semplice ai sensi degli artt. 224 e 217 comma 1 n. 4) del RD 267/1942 in un procedimento in cui gli amministratori, tra l’altro, erano stati accusati di mancata richiesta di fallimento nonostante l’integrale perdita di capitale sociale e l’insolvenza conclamata dal mancato pagamento di una rata (di più di 100.000 euro) del mutuo contratto, scaduta e non pagata (delitto aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’aver commesso più fatti di bancarotta).

L’art. 224 citato, richiamando appunto l’art. 217 del medesimo decreto, prevede infatti, tra le proprie condotte quella di aver aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa. Presupposto per l’applicazione di tale disposizione è la presenza di un dissesto già in atto (che deve già essere di rilievo, tale da consigliare l’accesso ad una procedura concorsuale) e la mancata predisposizione di rimedi efficaci. Tale omissione a sua volta, deve essere caratterizzata da colpa grave, accertata in concreto, individuando le ragioni del comportamento.

Nel caso oggetto della sentenza in commento, i giudici di legittimità concordano con la ricostruzione dei giudici di merito sul punto del nesso causale tra omessa condotta cautelativa da parte degli amministratori della società e aggravamento del dissesto: sia in primo che in secondo grado erano, infatti, state correttamente motivate in concreto le ragioni sulla base delle quali era possibile collegare l’inerzia assoluta dei mesi che hanno preceduto la dichiarazione di fallimento all’aggravamento dello stato d’insolvenza dell’impresa.

Del resto, in tema di bancarotta semplice, l’aggravamento del dissesto punito dalle norme contestate deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l’aumento di alcune poste passive (Cass. n. 27634/2019). La mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore (anche di fatto) della società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma, in concreto, da una provata e consapevole omissione (Cass. n. 18108/2018 e Cass. n. 38077/2015).

Nelle motivazioni della pronuncia n. 17626, viene anche in rilievo il tema della responsabilità penale degli amministratori senza delega (come anche dei sindaci). Per la Cassazione è, in proposito, necessaria la prova che gli stessi siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento del grado di anormalità di questi sintomi. Solo la prova della conoscenza del fatto illecito o della concreta conoscibilità dello stesso mediante l’attivazione del potere informativo in presenza di segnali inequivocabili comporta l’obbligo giuridico degli amministratori non operativi e dei sindaci di intervenire per impedire il verificarsi dell’evento illecito mentre la mancata attivazione di detti soggetti in presenza di tali circostanze determina l’affermazione della penale responsabilità avendo la loro omissione cagionato, o contribuito a cagionare, l’evento di danno (cfr. Cass. n. 36595/2009).

Proprio in relazione ai componenti del collegio sindacale questa pronuncia può essere l’occasione per evidenziare quanto rilevato da eminente dottrina sul fatto che – alla luce della nuova normativa in materia di crisi di impresa di cui al DLgs. 14/2019 – anche i sindaci entreranno nel novero dei soggetti attivi della condotta prevista dal n. 4 dell’art. 217, in quanto su di essi graverà l’obbligo di attivarsi per arrestare, anche a mezzo dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, l’esercizio antieconomico di un’attività imprenditoriale in forma collettiva.